Camminava.
Le sue mani erano incatenate ad un fucile, i suoi piedi avanzavano senza tregua.
Il suo sguardo era fisso nell'orizzonte.
Era coraggioso. Avrebbe affrontato l'inferno. Avrebbe ucciso. Sarebbe morto per la sua patria, come migliaia di altri uomini erano morti in precedenza, e sarebbero morti dopo di lui.
Scacciava i dubbi, le incertezze, le domande.
Il suo cuore... il suo cuore l'aveva perduto qualche metro prima.
Giaceva abbandonato in mezzo alla polvere, ignorato dai suoi piedi, che procedevano la loro marcia inarrestabile.
Il suo pensiero fisso sui martiri vagò, si soffermò su pensieri futili, e poi, su una canzone. Il ritornello familiare gli invase la mente.
Quanto avrebbe voluto stringere tra le mani una chitarra!
Non quel fucile, non quei frammenti di sogni e speranze.
Il suo pensiero mutò nuovamente, mantenendo la famigliare melodia come colonna sonora.
Ripensò alla sua bambina e a se stesso da bambino, un bambino che disegnava sulla sabbia bianca le ombre delle sue fantasie.
Il cuore ebbe un fremito nel suo petto. Non l'aveva dunque perduto?
Le catene si infransero, si frantumarono.
Si guardò per qualche secondo le mani, poi gettò a terra il fucile.
La cenere che ricopriva il terreno pareva sabbia.
Si chinò, e afferrò un bastoncino. E scrisse.
Scrisse: "Non voglio morire".