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Il bambino
Quando suonò la sveglia, la prima cosa che Lucia percepì fu il rumore della pioggia. Erano le sei del mattino, la casa gelida non invitava certo a lasciare il caldo del letto. Pochi minuti per accendere tutti i file del cervello e Lucia si alzò.. Brrrr! Un brivido le percorse la schiena, quella casa è decisamente gelida. Lucia non aveva mai avuto la sensazione che quella casa fosse accogliente. L'inverno era gelida e l'estate bollente, era un attico, una specie di nido d'aquila, appollaiato sui monti di fumi maleodoranti della vicina discarica. Eh già, oltre ad essere una brutta casa, fredda, era anche vicino ad una grande discarica.
Lucia e il marito vi erano andati ad abitare perchè era economico l'affitto.
Anche quella mattina Lucia si recò in cucina per preparare il caffè.
Il caffè per Lucia è un rito sacro, la cui violazione compromette l'umore della giornata.
Attende, con gli occhi assonnati, attende di sentire il caffè che rumoreggia nella caffettiera. Quel tempo di attesa riporta alla mente della donna il peso del dovere, il dovere di affrontare una nuova giornata, nuova ma vecchia.. Quando i pensieri sembravano prendere il sopravvento, il gorgoglio del caffè riporta Lucia alla realtà della sua giornata. Si versa il caffè nella tazzina e si siede perchè quel momento magico merita una pausa. Il liquido caldo a contatto con le papille gustative accende un fremito che invade il corpo e lo riscalda, un abbraccio intenso.
Quando la casa è ancora avvolta nel silenzio, il caffè diventa un amplesso virtuale del gusto.
Solo pochi istanti di piacere e poi si vola nel quotidiano.
Lucia sveglia il marito che per lavoro esce prima di lei, beato lui! Beato perchè a lei resta il peso di gestire quel bambino tanto desiderato e tanto odiato.
Lucia e Mario erano sposati da alcuni anni quando decidono di avere un figlio. La gravidanza era stata splendida, tanti sogni e buoni propositi genitoriali. Lucia inconsapevolmente era di una superbia infinita, era convinta che suo figlio sarebbe stato perfetto, perchè lei si reputava quasi perfetta, un po' come Mary Poppins, poi c'era Mario, il papà ideale, intelligente e allegro. Il bambino venne alla luce in un venerdì santo freddo di marzo. A tutta prima sembrava andare tutto come era stato sognato, il bambino era bellissimo, buono e allegro. Peccato che dopo i primi mesi qualcosa, che a tutt'oggi risulta inspiegabile, ha bruscamente interrotto il sogno. Eh si perchè Lucia aveva un sogno, una famiglia allegra. Da sempre ricordava di averla desiderata, la sua famiglia d'origine era stata un disastro. Insieme a Mario aveva costruito un solido rapporto e il figlio era la ciliegina sulla torta.
La malattia del bambino ha colto Lucia completamente impreparata, nonostante avesse quasi trent'anni. Non riusciva a gestire con lucidità il rapporto con i medici. A volte si comportava come una bambina che gioca a nascondino, vedeva e non voleva vedere. L'egoismo di fronte a scelte difficili certo non hanno aiutato ad una diagnosi precoce. Questa realtà, completamente inaspettata ha sconvolto Lucia nel profondo, quel bambino tanto atteso e amato, al quale aveva parlato fin dai primi giorni di gestazione, era diventato il suo incubo, la fine della sua vita! A volte, quando era in macchina in mezzo al traffico, si ritrovava a pensare di fuggire, fuggire lontano dalla malattia. Poi però vedeva il viso del marito, così composto nel suo dolore, così maturo e si sentiva umiliata per la sua stoltezza. Dopo tanti anni tra day hospital, ricoveri e riabilitazioni varie Lucia si era comunque abituata ma sempre per amore del dovere. Erano rari i momenti che aveva piacere a stare con suo figlio, il più delle volte era invasa da una sensazione di panico. Ed era proprio il panico che le afferrava la gola. Quando suo marito andava al lavoro, avrebbe voluto implorarlo di non andare, ma servivano i soldi altrimenti oltre alla malattia anche la povertà.
Una volta uscito il marito caricava tutto il suo coraggio e partiva a svegliare il bambino.
Non appena quella creatura tornava a riempire il suo silenzio Lucia, ricominciava a correre.
Doveva andare a lavorare, era la sua meta, il porto franco dove dimenticare il suo dolore.
Il lavoro era diventata una valida via di fuga, così correva per raggiungere il suo obiettivo. Ma il bambino aveva i suoi tempi che affatto combaciavano con quelli della madre.
Era un bambino affetto da un grave ritardo cognitivo e Lucia non accettava questa disabilità, sarebbe stata capacissima di sopperire alle gambe di suo figlio o alle braccia ma al suo cervello, quello non era capace di comprenderlo. Lucia aveva sempre avuto scarse capacità a comprendere le diversità altrui, metteva se stessa sempre al centro di ogni situazione, e questo non era certo di aiuto.
Nella sua testa credeva che avrebbe accettato meglio una disabilità fisica, in quanto l'intelligenza del figlio sarebbe stata di conforto di fronte alle avversità. Non si rendeva conto del fatto che qualsiasi disabilità del proprio figlio genera nella madre un profondo senso di colpa. È inutile che il prossimo, lontano da questi problemi si ostina a consolare le madri con vane parole.
È un percorso, arduo e scivoloso, che inevitabilmente si percorre anche nel rifiuto più totale, in quanto madre.
La madre è per un figlio un caposaldo dove poggiare il capo nelle avversità. Per un figlio disabile la madre è il cordone ombelicale della vita. Ma Lucia vive questo ruolo come una prigione dalla quale non può fuggire, sempre in lotta con la realtà del suo problema e le aspettative future agognate.
Lucia lottava con la speranza, certa che, grazie alla sua tenacia, alle terapie riabilitative, agli stimoli, suo figlio sarebbe migliorato al punto da non essere più disabile. Non accettava neppure di fare alcuna pratica burocratica per il riconoscimento dell'handicap, al punto da perdere soldi, utili visto che non navigavano nell'oro.
Era litigiosa Lucia, non accettava sentenze che non rinverdissero i suoi sogni. Ma come dice il grande maestro Mario Monicelli: LA SPERANZA È UNA TRAPPOLA. È vero, verissimo, infatti Lucia alternava momenti di fiducia a momenti di disperazione profonda.
Nei momenti più bui arrivava quasi a sperare che quella creatura morisse, visto che non aveva la possibilità di essere " normale ".
Lucia era angosciata di aver perso in un battibaleno tutta la sua spensieratezza. La musica che amava ascoltare, le mostre e i musei che tanto le piacevano, la poesia che praticava per hobby, la politica.. tutto finito. Tutti i sogni schiacciati tra le mura degli ospedali. Occhi disperati di genitori affranti, poveri corpi deformi di bambini, mamme immolate al sacrificio, felici di fare e pensare solo al proprio figlio. Medici dall'aria altezzosa che mascheravano la loro ignoranza dietro a richieste di nuove analisi, sempre invasive per quella creatura di pochi anni.
Non si può immaginare che cosa significa, per una madre, avere un figlio malato con tutte le analisi che ti dicono il contrario.
In alcuni giorni a Lucia sembrava di impazzire, poi però la consapevolezza che la vita è una sola, le dava la forza di andare avanti.
Dopo i primi anni estremamente tragici, Lucia e il marito trovano un miglioramento del figlio, quando tolgono il glutine dalla sua dieta. Questa proteina presente nel frumento di grano è per il figlio di Lucia e Mario un veleno che per quattro anni non lo ha fatto crescere nel fisico e nell'intelletto. Gradatamente questo figlio comincia a camminare in maniera più stabile ad essere più ricettivo verso l'ambiente che lo circonda. Nel frattempo il bambino è arrivato alla scuola materna. Lucia lo ha iscritto ad una scuola piccola e fatiscente vicina al posto in cui lavora. Segue il consiglio di una bidella e sceglie per il figlio il corso di un'insegnante che a tutta prima le sembra piuttosto arcigna. Ha fatto bene Lucia ad ascoltare la bidella, in quanto quest'insegnante aveva una capacità di interagire con suo figlio, che ha permesso al bambino di fare tantissimi progressi.
Le mamme dei bambini che frequentavano la materna con il figlio di Lucia, avevano per Lei una gran simpatia. Lucia con il suo carattere solare, sempre sorridente ha favorito l'integrazione di suo figlio. Non c'era festa o uscita al parco in cui il bambino non era invitato. La presenza di Lucia con le sue battute era sempre richiesta. Erano diventate tutte sue amiche e cercavano di aiutarla come potevano. Scherzando le consigliavano il mestiere dell'attrice comica. Ma come tutti i clown anche Lucia era eternamente triste, invidiosa dei figli altrui, era convinta che gli altri fossero felici, in quanto più fortunati di lei.
Nascondeva le sue lacrime nel riso per non essere lasciata sola.
La solitudine e il silenzio la ricacciavano nella sua angoscia.
Fuggire? La fuga di Caino? Come cambiare quella situazione?
Sognare.. sperare.. ecco la " trappola della speranza "che ti conforta prima per poi abbandonarti ai tuoi deliri.
Nel suo percorso di crescita Lucia ha avuto modo di incontrarsi e scontrarsi con il concetto di Dio. Lucia da bambina era stata a scuola dalle suore e vivendo una particolare situazione familiare, fatta di solitudine affettiva, si era molto attaccata ai simboli della Chiesa. Verso i dieci anni aveva anche pensato di diventare suora, era affascinata da quell'ambiente tranquillo. Durante tutto il periodo delle scuole medie, avendo la mamma ricoverata in un istituto di suore, tutte le domeniche aveva collaborato nel reparto della madre ad imboccare le disabili allettate. Anche questo per Lucia era un modo per guadagnarsi il paradiso. Poi crescendo la conoscenza delle contraddizioni della Chiesa avevano allontanato Lucia dalla cosiddetta fede. Per tanti anni il problema religioso non era stato più un problema per Lucia, fino alla nascita del figlio e soprattutto al sopraggiungere dei problemi. Di fronte alla disperazione tutto il nostro scibile ci passa davanti. Il conforto della religione è un'ottima droga che attiva endorfine tranquillizzanti. Lucia oscilla tra la preghiera, la richiesta del famoso miracolo e la bestemmia. Veri e propri improperi pieni di veleno traboccano dalla sua bocca Belva inferocita perchè ferita, il dolore acceca la mente. Quando poi torna la calma interiore Lucia si trova ad immaginare questo Dio, come una madre paziente, che accetta senza sentenze gli sfoghi di questa figlia disperata. Proverà anche Dio questo senso di frustrazione genitoriale, così come la madre, ferita nella sua maternità frustrata? Si chiede Lucia.
Durante i primi anni del bambino, anni difficili anche da raccontare, Lucia ebbe modo di incontrare tante persone che hanno provato a consigliarle santoni e guaritori. Per sua fortuna ha sempre ritenuto ridicoli questi consigli. A periodi alterni ha provato a trovare rifugio nella preghiera, ma senza sufficienti risultati, la rabbia era prevalente. Un anno o forse di più insieme con uno strano prete un po' rivoluzionario e una ragazza, anche lei sufficientemente sfortunata a causa di una malattia che la deformava lentamente, ha avuto incontri settimanali per studiare il vangelo. Lucia scoprì un Cristo più terreno che con i suoi insegnamenti la aiutò a reagire alla rabbia con la positività del sorriso. Aveva ripreso anche a frequentare la chiesa, in quanto questo prete le aveva fatto conoscere un altro suo collega altrettanto strano, che celebrava una messa veramente suggestiva. Quello forse è stato il periodo mistico più intenso per Lucia. La mattina si svegliava prestissimo per avere il tempo di leggere le sacre scritture e meditare, magari con il suo caffè. Sembrava aver raggiunto un equilibrio. Era forse alla fine del percorso? Errato.
Il percorso irto di insidie quando sembra spianato presenta una curva... dietro la curva l'imprevisto spiacevole, la tragedia ti aspetta.. ecco in quei momenti in cui precipiti vorticosamente giù nel pozzo le figure da cui ti aspetteresti aiuto e conforto vengono meno. Così è stato per i preti che Lucia aveva avvicinato. Il vuoto più assoluto, quelle parole che avrebbero dovuto confortarla della perdita di una delle persone più care, la mano sulla spalla di Cristo, ecco quella sensazione di consolazione, non è venuta da questi mistici ma da un puttaniere balordo amico del padre. Non a caso Cristo diceva che ladri e puttane ci precederanno nel regno dei cieli. Il padre di Lucia si ammalò e nel giro di un mese morì, proprio quando Lucia aveva partorito un altro bambino. Durante la malattia del padre il prete degli incontri di vangelo neanche una volta era andato con lei all'ospedale per non lasciarla sola. I mistici danno poca importanza alle cose della terra.
Da allora Lucia ha chiuso con i mistici, la fede è lottare e vivere cercando di non sprecare il proprio tempo. Tanti anni sono trascorsi il bambino è un ragazzo disabile, la gravità, nonostante gli sforzi è sempre rimasta grave e Lucia ha imparato a non sperare in un futuro migliore. L'esperienza del figlio prima e della morte del padre le hanno fatto capire che domani può succedere di tutto e che è è necessario lottare per conquistare un lembo di vita autonoma. La madre è una donna che vuole vivere e l'oppressione per questa condizione Lucia non la nasconde più anzi la afferma, perchè è giusto essere persone e non macchine da sacrificio. Questo non vuol dire abbandonare i figli, tanto meno disabili ma la consapevolezza del diritto alla propria vita, ha convinto Lucia a lottare affinchè il proprio figlio abbia degli spazi autonomi e stimolanti che consentano a lei e al marito una vita " serena " anche se per modo di dire...
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1 recensioni:
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- bello e con un tema molto molto forte che mette i brividi ad ogni donna che vuole diventare mamma. Però avrei curato di più la parte strutturale, i tempi dei verbi concordano poco. Bel linguaggio invece e metafore originali
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