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Il figlio degli Elfi - I° parte

Il sole stava ormai sorgendo all'orizzonte, ma lasciava solamente intravedere alcuni piccoli raggi che scivolavano nella vallata bagnandola di una fioca luce dorata.
In cima alla creste dei pendii si potevano scorgere qua e la dei gruppi di cervi che pascolavano liberi, lontani da tutto il male della terra.
Nel lago formato dalla sorgente del torrente Riara vi erano dei piccoli lucci che cacciavano disturbati ogni tanto dai lupi che venivano ad abbeverarsi e, increspando l'acqua, facevano fuggire le loro inconsce prede.
Quel mattino Mylo si alzò presto, aveva fretta di raggiungere lo zio Macan che viveva più in alto in una piccola ma accogliente capanna al limitare della foresta.
Si levò dal letto, infilò i calzoni velocemente, dopodiché si sistemò la maglia alla meglio e calzò gli stivali che gli aveva regalato il padre e corse velocemente fuori dalla porta.
Mylo era un ragazzo di quindici anni, orfano di padre, che viveva nel paese di Undine nella contrada della Lumaca insieme alla madre sarta e ad una sorella maggiore che lavorava in una birreria al centro del villaggio.
Mentre correva verso la casa dello zio l'ultima porzione di sole si era fatta strada fra le colline e illuminava ormai tutti i tetti tanto che, salita una piccola scala scavata nella roccia, Mylo si girò e vedendo quel panorama esclamò:-Uao!-.
Il ragazzo doveva fare molta strada per arrivare dove voleva, in linea d'aria non era moltissimo, ma la strada si perdeva fra le innumerevoli insenature rocciose e le varie pinete che abbondavano in quella zona.
Arrivato ormai a metà del suo percorso Mylo decise di fermarsi un poco a riprendere fiato e a bere un po' dell'acqua pura del Riara da una delle sue insenature fra i canyon; bevve molto perché la corsa gli aveva seccato la bocca e la lingua, poi immerse la folta chioma bionda e la testa interamente nell'acqua poi, con un gesto fulmineo si buttò in un prato vicino al laghetto dal quale si era ristorato.
Forse per la stanchezza dovuta alla corsa o alla fatica patita in quei giorni nei quali era stato molto impegnato con il raccolto insieme al nonno e allo zio, appena si distese la sua mente iniziò a vagare ed egli fu culla to in un sonno profondo e quanto mai riposante.
Dopo poco dall'inizio del suo dormire iniziarono a materializzarsi nei suoi pensieri immagini che riguardavano la sua terra e le genti che la popolavano, immagini di guerre e tempi bui, interi popoli costretti in esilio, cacciati dalle proprie terre, persone torturate o malmenate dalle mani di altri uomini grandi e neri, completamente ricoperti di scaglie metalliche e cotte di maglia mastodontiche, grandi assedi, eserciti di mercenari che attaccavano e distruggevano bianche torri.
Sognò per una buona mezz'ora in preda ad una crisi convulsiva spaventosa, fino alla comparsa di due grandi simboli, uno azzurro e che assomigliava ad un esse con due puntini all'interno delle curve, ed uno che ricordava un acca con la stanghetta centrale molto più lunga oltre ad un terzo che però appariva sbiadito ed incomprensibile.
Dopo la comparsa di queste due "lettere", si svegliò di soprassalto ed ansimante, non aveva mai avuto un incubo così terribile e realistico.

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1 commenti:

  • Fabrizio Giuliano il 28/08/2012 19:44
    A quando la seconda parte?
    Mi ha suscitato curiosità, sarà perché sono un fan del fantasy, sarà perché amo il Gdr e queste letture mi piacciono parecchio.
    L'unico consiglio che ti do riguarda i dialoghi: c'è stato un momento che mi era apparso che il dialogo fosse finito, invece continuava. Il motivo era l'andata a capo del rigo. Nei dialoghi solitamente non si mette
    Andare a capo indica uno stacco dell'argomento di cui si stava trattando, quindi usato nel dialogo equivale alla fine di esso
    Ad ogni modo ho molto apprezzato la storia e attenderò con ansia il continuo!

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