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Il gabbiano Jonathan e i videogame
Ho dovuto tranquillizzare Jonathan, gli ho spiegato che anche quando la nebbia è fitta non ho nessuna difficoltà a trovarti, non ci sono rischi.
Tu sei la mia libertà, quella fatta di sogni, ma anche quella in grado di trasformare le sofferenze in felicità.
* * * * *
Oggi la nebbia si é offesa, si è ribellata. A forza di sentirmi ripetere che nemmeno lei è più quella di una volta. Eccomi... una coltre spessissima, umida, profumata. La mia nebbia. Ho macinato chilometri tentando di rubare la linea bianca con qualche anticipo sulle ruote, una giornata vissuta in sospeso tra il fascino grigio che impreziosisce i pensieri e il timore di sbattere. Poi come nelle favole il sole, un riflesso insistente, una luminosità sospetta. Il gioco dell'inquietudine che la luce non ti permette di ignorare. Ore lunghissime, fiumi di parole concentrate, attente ai verbi, ai congiuntivi. Prigioniere di frasi insulse, infinitamente tristi, politicamente corrette.
Tornando a casa ho preferito una strada interna, in mezzo alla pineta, un piccolo mondo risparmiato. Flora e fauna senza videogame. Un vero spettacolo.
Il mare immobile a fare da sfondo, il cielo che si divertiva a cambiarsi d'abito, azzurro, blu, venature di rosso e poi ancora azzurro. Stessi colori, sempre diversi. Una musica lontana.
Un gabbiano mi ha accompagnato per un tratto di strada forse temeva che mi perdessi, forse gli hai raccontato di quanto sono sbadato, gli ho chiesto se ti conosceva, l'ho chiamato Jonathan e mi ha risposto, ha volato sopra di me, ha volato con me. Traiettorie strane, geometrie sempre diverse. Eleganza e armonia.
Ha disegnato il senso della libertà, la capacità di godere della bellezza che noi riusciamo a fingere di non vedere. Ho continuato a parlargli senza preoccuparmi di coniugare i verbi, di usare correttamente i congiuntivi, ho cercato di dirgli qualcosa che provasse la mia innocenza.
... apri le mani e ci trovi dentro solo tre monete d'oro finto.
Mi sono fermato, la sera aveva già preso servizio, con garbo senza cambiare niente, qualche pennellata di colore, un azzurro più intenso. Ho passeggiato, pochi passi, sai che per le lunghe distanze preferisco la penna. Mi sono seduto sulla staccionata, alle spalle un boschetto di pini marittimi che impettiti mi osservavano curiosi, non mi sono girato.
Jonathan ha preferito continuare la sua corsa, ho fatto appena in tempo a ringraziarlo.
Potrei raccontarti i miei pensieri ma li conosci, sono ripetitivi, soprattutto quando marciano allineati in fila indiana. Per la verità stasera erano meno ordinati del solito, qualcuno addirittura spettinato, ma gira e rigira finiscono sempre per mettere la testa a posto.
Una volta ho scritto in un racconto che serve poco per trasformare un ricordo in un rimpianto. Seduto su quella staccionata mi sono chiesto se lo scriverei ancora, mi sono chiesto se ho più ricordi o più rimpianti, non ho atteso la risposta, sono risalito in auto e mi sono chiesto cosa pensavano i cavalieri quando risalivano a cavallo.
La strada principale era illuminata a giorno, fari e lampioni, effetti speciali e scritte pubblicitarie, colori sgargianti. Videogame.
Buono l'odore dell'essenza che ho sciolto nell'acqua, mi ricorda vagamente il mare, chiudo gli occhi. Forse Jonathan si verrà a posare sul bordo e riprenderemo la conversazione interrotta o forse aspetterà che mi perda nella nebbia per alzarsi di nuovo in cielo a ricordarmi quanto è bella la libertà.
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