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La morte allunga il passo. (prima parte)
Diffidate di chi si vanta
di saper leggere la mano.
Soprattutto se non rispetta
la punteggiatura.
Stava lì rilassato, seduto su una sedia basculante, piedi a formare una specie di vu, sulla vecchia e malandata scrivania. Fissava le macchie di precoce senilità sulle mani. Poi, percorrendo con lo sguardo le lunghe gambe, arrivò alle scarpe e si fermò, con un pizzico di vanità, ad ammirarle. Indossava un paio di Alden Diplomat nere che odoravano di cuoio. Pagate diciotto e cinquanta in un negozio della Quinta strada.
Mentre era tutto concentrato su quell'oggetto di desiderio ormai realizzato, una fitta pioggia scendeva sui vetri della grande finestra, seguendo percorsi imprevedibili.
Stette così per tre buoni quarti d'ora. Chi lo avesse visto spostare lentamente i piedi qua e là, scrutare ammirato ogni dettaglio delle calzature per tutto quel tempo, esibirsi in quel repertorio di espressioni con occhi, sopracciglia, naso e smorfie della bocca, sarebbe stato pienamente autorizzato a pensare si trattasse di un alienato di mente. Solo se avesse prestato attenzione alla targhetta sulla porta avrebbe potuto ricredersi: Ted Sullivan, Special Investigator. The best nose in town since 1940. Avrebbe afferrato il perché di quell'atteggiamento concentrato ad analizzare ogni più piccolo dettaglio. Che rivelava quella innata propensione ad aguzzare vista e olfatto, tipica dei segugi di razza.
Il rumore della pioggia svanì a poco a poco, cedendo il passo ad un silenzio che conciliava il sonno. Proprio quando stava per cedere, il gracchiante e insistente drin drin del telefono lo richiamò all'appello.
- Ted Sullivan?...-
- Little Italy Chronicle! Sono la segretaria del direttore... il signor Mulligan vorrebbe incontrarla.-
- Un momento che controllo l'agenda... vediamo...-
- No, guardi, vorrebbe vederla subito... la cosa è urgente!-
- Baciami il...-
- Come?!!-
- no, no è un intercalare... mi scusi... la forza dell'abitudine...-
- dovrei spostare qualche appuntamento...-
- veda lei!-
Ted intuì, dal tono ironico della voce, che la ragazza aveva mangiato la foglia, non poteva fare tanto il prezioso... e poi era a corto di clienti... il conto in banca piangeva come una vite tagliata... se non avesse voluto vedersi costretto a portare le sue fiammanti Alden Diplomat al banco dei pegni, non avrebbe dovuto menarla tanto per le lunghe...-
- Va bene, potrei essere lì fra mezz'ora.-
- L'aspettiamo! a presto!-
Lentamente alzò le gambe e ritornò coi piedi per terra. Erano un po' informicolati, ma dopo un breve accenno di tip tap, il sangue tornò a circolare tutto pimpante. Si attaccò al collo della bottiglia di Jack Daniel, fece rimbalzare da un lato all'altro delle pareti della bocca il wisckey e andò a sputarlo in bagno. Il medico gli aveva consigliato di stare lontano dal bere, se voleva arrivare alla pensione. Prese dallo sghembo e allampanato porta abiti il suo consunto trench, lo indossò insieme al cappello, e uscì. Come d'abitudine aveva sistemato sulla porta a vetri il cartello: Sarò di ritorno in un lampo. Destino permettendo.
Un timido sole si stava facendo lentamente largo fra le nubi. Il tempo stringeva. Avrebbe dovuto prendere al volo un taxi. Si frugò in tasca: rimaneva ancora qualche spicciolo. Chissà se sarebbe stato investito bene. Qualcosa gli diceva che stava per andare incontro a qualche guaio. Ma questo succedeva ogni volta che prendeva in mano un caso. D'altronde le cose semplici e sicure lo annoiavano a morte.
Arrivò con cinque minuti di ritardo davanti alla sede del Little Italy Chronicle. Gli mancavano cinquanta cents per pagare la corsa. Il tassista bestemmiò e ripartì a razzo. Per poco non gli rimase in mano la portiera. Si trovava davanti a una vecchia costruzione di due piani, molto fatiscente. Lanciò uno sguardo all'insegna di legno: si leggeva a malapena, tanto i caratteri erano sbiaditi. Notò, sulla parte destra, una serie di piccoli fori. No, non poteva trattarsi di fori ostili. Colpi di arma da fuoco. Preferiva pensarli opera di un sitta carolinensis, il picchio muratore. Forse, in un momento di distrazione, il piccolo pennuto si era dimenticato di murare i fori da lui stesso aperti. O, più probabilmente, era rimasto a corto di argilla per tapparli.
Salì la stretta rampa di scale ed entrò nella redazione. Dato uno sguardo attorno, si accorse che definirla così era, a dir poco, un'iperbole giornalistica. Quattro scrivanie che avevano subito le devastazioni della guerra di secessione; macchine per scrivere modello prima guerra mondiale; pareti che a confronto gli orinatoi della metro, non rinfrescati dalla sua inaugurazione, sembravano stanze d'ospedale. Si aprì un varco in una densa cortina fumogena e, fidando nel suo fiuto, arrivò alla scrivania di Dorothy, la formosa segretaria di direzione.
Odorava di profumo da pochi cents. Chissà perché molte donne, pur ricevendo da madre natura argomenti tanto convincenti, esagerano in certi impiastri.
Dorothy battè più volte sulla parete alle sue spalle.
- Entri pure, signor Sullivan, il direttore la sta aspettando.-
L'ufficio era come il resto della redazione. Mancava solo il fumo: un grande cartello intimava: No smoking! Una vecchia poltrona, tipo barbiere, su cui sedeva Mulligan, stava ad indicare la sua posizione nella scala gerarchica. Mulligan! Si sarebbe aspettato un cognome più italiano, visto il luogo in cui si trovava. Forse in origine faceva Mulligano o Mollicano. Poi, essendo troppo chiara l'origine, per darsi qualche chance di promozione sociale, l'aveva americanizzato. Pensava, togliendosi quell'handycap, di poter procedere più spedito. Questi italiani non mancano certo di fantasia, pensò.
Mulligan era un uomo sulla cinquantina. Anche se ne dimostrava almeno dieci di meno. Scuro di capelli. Probabilmente ritoccati con l'aerografo. Seduto sembrava piuttosto alto per le sue origini. Indossava un paio di occhiali con spesse lenti su di una pesante montatura in tartaruga. E due baffetti alla Errol Flinn, che gli davano un certo tono da tombeur de femmes di provincia. Ted si immaginò che, tra un articolo e l'altro, con la sua penna correggesse le bozze pure a Dorothy, prona ad angolo sulla scrivania. Dal gagliardetto sulla parete doveva essere un tifoso dei New York Knicks. Nessuno è perfetto, pensò Ted. Lui parteggiava per i Boston Celtics. Ma non per questo avrebbe attaccato briga con lui. Sembrava ben palestrato, nonostante fosse un intellettuale.
- Sullivan, si accomodi... prego.-
Non fece in tempo a sedersi.
- Veniamo subito al dunque, le dispiace?-
- No, tutt'altro, neanch'io amo i convenevoli...-
Non gli chiese nemmeno quanto era la tariffa... la cosa puzzava... ma ormai era lì... non poteva mica girare i tacchi... e poi non gli lasciava il tempo di inserirsi nelle brevi pause.
- Senta qui: ieri qualcuno ha recapitato in redazione una busta chiusa, contenente una notizia preannunciatami da una telefonata anonima. Sa, una di quelle notizie che scottano. Tanto bollenti da provocare ustioni di nono grado solo a leggerle. Al telefono la voce era stata vaga, ma aveva giurato che nella busta ci sarebbero state diverse foto molto esplicite e indicazioni su come procurarsi altre prove a sostegno. La redazione era in stato di euforia... è una vita che più che necrologi, coccodrilli, liti in famiglia e qualche morto ammazzato, a Little Italy non succede nulla che meriti la prima pagina. Avremmo aumentato d'un balzo le tirature, e dato una mano di bianco alle pareti. Ma non divaghiamo. Lei non ci crederà... la busta com'è arrivata è sparita, volatilizzata. Nessuno sa niente. Nessuno ha visto niente. Si sa che è arrivata, ma poi se ne sono perse le tracce.-
Baciami il culo!, pensò. Lo avevano scomodato per quello? Per una notizia? Si fosse almeno trattato del rapimento di un gatto, con richiesta di riscatto avrebbe capito... e invece lo avevano chiamato, messo tutto quel pepe al culo, per cosa? Due foto e un pezzo di carta! Sti italoamericani di merda! Aveva pure speso gli ultimi spiccioli per il taxi. E consumato le suole delle sue Alden Diplomat. Cercò di non far trasparire troppo l'incazzatura. Tentò di smorzarla, trasformarla in larvato disappunto. Per educazione.
- Credo proprio non sia un caso... che rientra...-
- Sono certo che sì, invece, ho chiesto informazioni... tutti dicono un gran bene di lei, del suo fiuto... first class! Infallibile! Non mi dica di no. Guardi c'è già questo anticipo per lei... le prime spese... il resto a lavoro finito.-
Così dicendo, mise sulla scrivania una busta. La fece scivolare in modo che fosse bene in vista. Dal lato aperto. Sullivan poteva intravvedere un bel gruzzoletto. Almeno duecento dollari. Altro che prime spese! Fece un rapido calcolo: pensò ai sei mesi di affitto arretrato, si concentrò sulle scarpe e, alla fine, decise di accettare. Neanche tanto a malincuore. Si fece raccontare per filo e per segno l'esatto contenuto della telefonata, tono compreso, salutò la compagnia e se ne uscì in strada.
Non sapeva da che parte cominciare, Imboccò deciso Canal Street. Non che amasse l'esercizio fisico. Ma dopo la corsa in taxi era rimasto senza il becco di un quattrino. C'era la busta appena ricevuta. Che però non voleva toccare. Magari le ricerche gli sarebbero costate una cifra: si sa quando si devono far sciogliere le lingue... Meglio essere parsimoniosi, dunque. Dopo circa un chilometro, girò a destra. Poi a sinistra. Arrivato all'angolo della Quinta con la Quarantasettesima si fermò dal suo amico Saul Mellow, lo shoeshine nero più vecchio e famoso di Manhattan. Stava terminando le sue artistiche e spericolate evoluzioni su di un paio di vecchie scarpe, alle quali aveva dato dignità di presenziare ad una cena in ghingheri al Waldorf. Appena il cliente, un orientale con il bavero alzato, se ne andò, con le sue suole cigolanti come le ruote di un vecchio carretto, si avvicinò e, prima che avesse il tempo di aprir bocca, Saul gli disse:
- Ciao, Ted, che piacere vederti, qual buon vento...-
- Salve Saul, amico mio, avrei proprio bisogno di una spolveratina...-
Saul gli fece un cenno e Ted si accomodò su quel trono di pelle nera, abituato a ospitare alcuni dei sederi più importanti della città. Tutt'intorno, appesi alle pareti di quella nicchia, foto autografate di celebrità dello sport, uomini d'affari, politici locali. Molti addirittura, di passaggio a New York, si ritagliavano un momento per venire da lui e farsi servire di tutto punto. Nel suo mestiere era un vero artista. Il massimo esperto nello spalmare il lucido. Il più eclettico funambolo della spazzola. Come il mitico Reece "Goose" Tatum lo era, quanto a creatività di palleggio, per gli Harlem. Solo Ted e pochi altri però erano a conoscenza di un'altra grande qualità. Meglio sarebbe stato chiamarlo dono. Posando le sue vecchie, lunghe e nodose mani sulle scarpe, Saul riusciva a captare le vibrazioni dei piedi e dirti presente e futuro. Poche volte aveva sbagliato. Forse a causa di calzini sintetici o del tempo. O di piedi a bassa risonanza.
- Buon Dio, che belle scarpe, Ted... che sciccheria! Hai visitato Forte Knox?-
- Magari! Sai quanto mi piacciono le scarpe. Pochi gioni fa sono passato davanti a Staley's e queste Alden mi fissavano... sembravano sorridermi. Così ho fatto una pazzia. E da allora che sono a dieta.-
- Non mi starai mica diventando feticista?-
- Spero di no... quando faccio sesso me le tolgo.-
- Sai che la passione per le scarpe ha significati profondi. Roba da strizzacervelli.-
- Buona a sapersi.-
- Sai che secondo la Bibbia le scarpe sono simbolo di possesso, di proprietà...-
- Nel mio caso la Bibbia si sbaglia... non ho un cent da far ballare una pulce... almeno fino a...-
- pochi minuti fa... e sai che secondo Freud la scarpa sarebbe la passerina e il piede maschile il suo compagno? Dimmi, Ted, ti piacciono le donne di classe vero?-
Non sapeva se Saul lo avvesse capito perché aveva seguito un corso serale di psicanalisi, o per via del suo dono, di quelle lunghe mani che avevano sentito le vibrazioni dei suoi piedi. Fatto sta che era proprio così. Gli piacevano le donne che avevano stile, che vestivano bene e che, se proprio ci tenevano alle essenze, usavano Chanel. E quanto a piedi maschili amavano quelli che sapevano andare a tempo, tenere il ritmo.
- Hai fatto centro, Saul, come sempre! ... dimmi Saul... come si presenta la mia settimana?-
Saul non amava fare previsioni alle persone cui era affezionato. E Ted gli piaceva: era una persona che lo trattava da pari a pari. Uno dei pochi uomini decenti che posavano il loro culo sulla sua poltrona. Preferiva usare i suoi poteri per raccontare il carattere, la personalità dei suoi clienti, che parlare di ciò che il futuro aveva in serbo per loro. Nel bene e nel male. Ma stavolta decise di fare uno strappo alla regola.
- Sento che hai per le mani qualcosa di grosso... c'e anche in ballo una bella sommetta... che forse ti permetterà di concederti il bis: delle sciccose Diplomat marroni.
Poi un'ombra attraversò i suoi occhi, il viso si fece pensieroso. Il tono della voce preoccupato.
- Ted, devi essere molto cauto... si tratta di un affare che scotta... sono coinvolte tante di quelle persone che nemmeno te lo immagini... gente potente, pericolosa, spietata... pensaci bene... stai attento a dove metti i piedi!-
- Saul, lo sai bene che nel mio mestiere il pericolo è sempre dietro l'angolo. E poi... quanto a dove mettere i piedi... per forza ci vado cauto... con queste scarpe!-
Sì, sì, certo... ammiro il tuo coraggio... ma stai attento che non tutti gli angoli stanno davanti... diffida sempre, devi temere soprattutto il rumore dei passi alle tue spalle!-
Saul sembrava più stremato per il vaticinio, che per tutte le scarpe che gli erano passate per le mani quel giorno. Con lo straccio di lana che teneva ben saldo e teso con entrambe le mani e che muoveva a ritmo frenetico, seguendo tutti i punti cardinali, diede un colpo finale, con la decisione e l'enfasi con cui il direttore d'orchestra chiude il concerto. Ted si rimirò le estremità, si alzò soddisfatto e sfilò dalla busta un dollaro. Lo allungò a Saul accompagnandolo fino alla sua mano aperta. Nello stesso gesto gliela strinse a pugno. Strinse forte, in segno di apprezzamento e ringraziamento.
- Grazie Saul... il resto tienilo per la prossima...-
- Grazie a te. Sei un vero signore. Ti avrei servito anche a credito. Di te c'è da fidarsi... a occhi chiusi.-
- Alla prossima, allora!-
- Sì certo... sii prudente e take care!-
Arrivato in ufficio fece una decina di telefonate. Nove ai suoi informatori. Per tentare almeno di individuare il bandolo dell'aggrovigliata matassa, e iniziare a dipanare. La decima, non professionale, gli procurò un appuntamento galante la sera stessa. Ne aveva proprio bisogno.
FINE PRIMA PARTE
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- Gabriele, il mio è un provvisorio atto di presenza dovuto a due cose. L'impareggiabile prologo e lo stile Chandler, autore che da giovane mi faceva impazzire. Direi, con la conoscenza odierna, sulla falsariga di Jack Folla di Alcatraz.
Comunque il tuo investigatore mi ricorda tanto un personaggio simile che soffriva di cuore e doveva stare attento al bere e alle scazzottate per non rischiare l'infarto. Non ricordo il nome nè l'autore, solo che era un giallo Mondadori.
Leggerò con piacere la seconda (e temo che non finirà lì parte.
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