Ricordo l'altro giorno in ufficio quando all'improvviso ho sentito un odore forte e strano. Sapeva quasi di selvaggio, come se mi trovassi in campagna. Mi sono detto: "Questo non è possibile, sicuramente mi sto sbagliando".
Lì per lì concentrai la mia attenzione, o meglio sintonizzai il mio olfatto su qualcosa di più piacevole come l'odore di un buon caffé. La mattina questo piacere è insostituibile.
Mi avvicinai alla macchinetta automatica, selezionai la bevanda e attesi. Sorseggiai lentamente il mio caffé. L'odore mi inebriava e mi portava lontano con la mente.
Improvvisamente il piacere svaniva e un odore sempre più penetrante s'imponeva alle mie narici e per di più senza permesso. Gli rivolsi un po' di attenzione e ne seguii la scia. Proveniva dal bagno ma non aveva niente a che fare con gli odori tipici del bagno, se odori possono poi chiamarsi... Continuai e mi avvicinai sempre di più al punto da cui proveniva l'olezzo. Aprii la porta e vidi con mia grande sorpresa una gabbia molto grossa, di circa ottanta centimetri di lunghezza per cinquanta centimetri di larghezza.
Il contenuto non era visibile dalla posizione in cui mi trovavo ma dalle dimensioni poteva trattarsi di un gatto di grossa taglia, di un cagnolino o di un coniglio. Mi avvicinai ancora un pochino e vidi finalmente di che si trattava : erano dei "cani della prateria", due adulti e tre piccoli e quell'odore era sempre più forte.
Questo odore, inconsueto qui in città, mi portava lontano, ai miei ricordi d'infanzia, nel piccolo paesino di provincia nell'entroterra a sud della Sicilia. Ritornai al tempo in cui mio padre mi portava a "caccia" di conigli. Ci alzavamo che era ancora buio, facevamo una colazione veloce (soltanto un caffé) e poi via di corsa all'appuntamento con gli altri.
Non erano sempre le stesse persone, c' era sempre un nuovo aggregato che si aggiungeva alla comitiva. Si stabiliva il luogo d'incontro la sera precedente.
La mattina non si faceva menzione del luogo stabilito, come se fosse un tabù, infatti questi posti erano tenuti segreti dagli adulti a noi ragazzi fino all'arrivo, quando non c'era più nessun segreto da conservare.
Arrivati sul luogo ci si preparava. Fucile in spalla, cartucciera sui fianchi, tascapane e borraccia a tracolla e via per i sentieri selvaggi. La muta dei cani pronti a scattare una volta liberi, irrequieti sentivano già la selvaggina nei dintorni.
Dopo mezz' ora di cammino e di appostamenti finalmente arrivava il momento che tutti i cacciatori si aspettavano come ricompensa per la fatica: il cane che puntava, lo scatto fulmineo, il cacciatore che prendeva la mira, la preda che fuggiva e poi i colpi di fucile a ripetizione.
Rumori assordanti, odore di polvere da sparo, poi la fatica e il sudore per il peso della selvaggina ben riposta. Tutto finito, tutto da ricominciare, un altro cammino, un'altra preda, un altro odore forte di selvaggio: un nuovo ricordo.