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Viaggio onirico
Fiotti di sangue scorrevano inesorabili dal suo mento, era impercettibile la presenza della barba, e le vesti sporche, rosse, coloravano quel cupo bagno pubblico nel quale A. non sapeva di esser moribondo, non lo sapeva neanche G. il quale tentava, invano, di salvare l'amico.
Cercava disperatamente carta igienica, o fazzoletti, per tappare la coagulazione di A., ma non potè sperare di trovarli in un luogo malcurato e puzzolente, il tanfo di letame rendeva ancor più macabra la fine di A. Implorava aiuto, lacrimando e urlando, imprecava contro G. il quale preso dal momento era in totale confusione si mise le mani in testa grattandosi freneticamente, aggrottò le sopracciglia e infine si strappò il giubbotto e lo appoggiò nervosamente sul mento di A. che accasciato a terra continuava ad implorare aiuto. Con la mano sinistra tamponava l'agghiacciante ferita mentre l'altra la lasciò cadere sulla gamba, scuoteva la testa da una parte all'altra piangendo, il sangue ricopriva metà del suo corpo era privo di forze, abbandonato in un buio, viscido bagno, umido dell'urina presente sul pavimento, stanziava a momenti di piena coscienza ad altri di totale delirio. La disperazione di G. rendeva ancor più tragica la situazione, e piangeva lacrime di rabbia,
Rabbia poiché era impotente dinanzi alla morte del caro amico.
Disperatamente apriva e richiudeva la porta gridando aiuto, e sbatteva le arrugginite finestre sperando che qualcuno lo sentisse. : "Le acque si stanno aprendo, il demonio ci ucciderà tutti" G. era costretto a sentire questa premonizione del malato che ormai impazziva, dunque G. tentò di sollevarlo per portarlo via da quell'inferno ma A. in preda all'isteria rifiutava ogni tipo di approccio, e urlava per la disperazione mentre il sangue sgorgava come fontana lasciò cadere anche la giacca di G., ormai era inutile, stava morendo dissanguato. G. con la faccia rivolta al muro non guardava A. e scuoteva la testa coinvolto in un'idilliaca indecisione, si volse, rivide A. oppresso dalla morte, conquistato e stuprato dal sangue, il sangue lo aveva sconfitto, ed il suo candido, giovane viso era irriconoscibile, la sua espressione disperata non commosse G. , bensì lo spaventò e fu sconfitto anch'egli, sconfitto dalla vigliaccheria. Si volse alla porta la aprì con forza, un istante si fermò su quella fatidica linea : "G. aiuto" A. urlò quest'implorazione, un'infima parte di G. si sentì in colpa per il suo desiderio egoistico, seppur umano, di scappare, però non volle guardarlo. Infine vinse la parte istintiva del suo essere, mancava troppo poco tempo, e non poteva lasciare la signorina M. sola, dunque un po' per pigrizia, un po' per egoismo e per sopravvivenza iniziò a fuggire, come per impedire alle sua vigliacche gambe di tornare, a rischiare la vita per salvare A. Attraversò tutto il corridoio ed entusiasta di non sentire quel tanfo insopportabile, sudato, e con espressione sconvolta cercò con gli occhi di ricordarsi il luogo nel quale aveva lasciato la Wolsvagen Passat nella quale c'era la signorina M. Scorse con gli occhi quell'immenso parcheggio e infine trovò la sua auto. Si mise a camminare con passo lento, ma poi l'impercettibile visione della signorina M. lo fece accelerare. M. era col viso appoggiato al finestrino posteriore dell'auto e noncurante del sole battente sbatteva le mani e chiamava il nome di G. il quale accorse, aprì l 'automobile, e la mise in moto in pochi secondi. M. rimaneva seduta nel sedile posteriore ansimando, sudata, indossava una camicia che aprì fino all'ultimo bottone, si era distesa sull'intero spazio posteriore, digrignando a volte i denti per il dolore e mordendosi la lingua per non urlare, per scaricare la tensione sbatteva violentemente piedi sul sedile, e sospirava, si sentiva soffocare, rinchiusa nella peggiore delle tane, una claustrofobia insensata e feroce, sentiva più caldo del dovuto, e con la mano sinistra si faceva aria mentre con la destre schiacciava sul proprio pancione come volesse, per attrito, partorire forzatamente il figlio. Rivolegeva domande con rabbia a G. , ella non sentendosi ascoltata nei momenti di peggior disperazione tirava i capelli al guidatore, il quale rispondeva dando pugni a vuoto, mantenendo lo sguardo sul tragitto. "Mi si sono rotte le acque" disse a un certo punto la signorina M. e G. mise, istintivamente il piede sull'acceleratore. In questo perenne caldo G. cercava la propria meta, senza impegnarsi troppo, e alle implorazioni della donna, minimizzava il tutto. A un certo punto, M. sollecitò ossessivamente il guidatore, urlando, e piangendo, "accelera Dio santo, accelera!" , G. si limitava ad accennare con la testa, ma non posava la mano sul cambio di marcia, dunque disperata, ritrovatasi in un viaggio infinito, in un tunnel senza uscita, M. si fece avanti e all'improvviso, con ogni sua forza, tentò di raggiungere il cambio marce, stirò ogni singola cellula, e l'epidermide divenne rossa, il peso del bimbo deviava il suo scopo, ma quasi perdendo il respiro, mise l'ultimo spirato tentativo, nelle dita, con le quali, aiutata dalla singola forza della disperazione, la mise sulla seconda, dopo che G. si era intestardito nella propria caparbietà . G. vide nel gesto della signorina M. , un affronto, e ferito nell'orgoglio, impazzito per la situazione lasciò il volante dalle mani, come se non esistesse, come un animale, il suo unico obbiettivo era vendetta, data da semplice spirito di contraddizione, lasciò il volante dalle mani ma non fece in tempo a sfiorare la signorina M. che l'auto, pur essendo su una strada deserta, sbandò , essendo stato il volante spostato dall'anca sinistra di G.
M. emise un grido al momento del contatto col muro, e G. dopo un attimo di smarrimento, riprese fiato e vide M., abbandonata a se stessa, con atteggiamento arreso, lacrimante, e sanguinante. Quell'espressione, gli ricordò A. , la osservò bene, lei ricambiò ma nessuno proferì parola, infine G. si alzò e con un ultimo sguardo osservo ancora M. e scappò inesorabilmente, il tempo stava per scadere e non poteva fallire.
Si sbrigò a giungere nel bunker prestabilito e trovatosi dinanzi a un bivio, doveva affrontare un strettissimo e lungo tunnel incavato nel muro, egli si trovava a metà di esso e non poteva vedere il suo fondo, "potrebbe trattarsi di condotto acque" pensò , poiché scorse grandi tubi appollaiati ai muri, e sarebbero state la sua unica via di scampo, unica base sulla quale appoggiare i piedi. S'incamminò con passo incerto, poggiandosi con le mani sui muri, provò un estremo disgusto al tatto degli arti con essi. Erano viscidi, scivolosi, e per niente sicuri, rischiava di trovare resti di insetti deceduti, ragnatele comandate da giganteschi ragni. Andò avanti con estrema lentezza, curandosi più di ciò che toccava piuttosto che del tragitto, lievi scricchiolii dei tubi sui quali camminava lo facevano trasalire, e la sua vista, come drogata, rendeva la visuale sempre più stretta, ogni passo in avanti. Mai temette la morte come in quegli istanti, un'orribile odore di putrefazione, al di sotto di esso, invadeva il suo naso, credeva ogni tanto di scorgere qualche cadavere, ma convinceva se stesso dell'impossibilità di ciò , e per non contraddire il proprio orgoglio continuava a guardare dritto. G. vide un ragno avvicinarsi, minacciosamente verso di lui, stette con gli occhi spalancati e la bocca aperta ad osservarlo, un'improvvisa ed inconcepibile aracnofobia lo colpì e si fermò ansimando, credette potesse essere un ragno velenoso, e coinvolto in quell'infernale istante pensò si lasciarsi andare e di raggiungere i cadaveri in fondo, ma ragionò un istante rimase bloccato, con un movimento macchinale si fece il segno della croce, il ragno giunse, lentamente, ma agli occhi di G. era un treno, un onda, pioggia. Non poteva sollevare più di un arto alla volta e per i pochi secondi che lo faceva rischiava fortemente di perdere l'equilibrio. C'erano infime possibilità che l'insetto non lo toccasse, e la sua mente malata, atrofizzata da quell'istante temette quel piccoletto come fosse il più sadico dei killer. Infine a pochi passettini da lui, il ragno si pietrificò , G. lo guardò con timore, come osservò A. ed ebbe l'impercettibile sensazione, che anche l'insetto lo facesse. Dunque un lungo sospiro di sollievo accompagnò G. quando vide il ragno cambiare direzione e procedere verso il basso, G. non osò seguirlo con lo sguardo come se potesse rivederlo e cambiare idea.
Con grandi emozioni e timori, scivolando su quei porporei muri, illuminati lievemente da neon malfunzionanti giunse alla luce. E la guardò come un 'immigrato guardava New York. Mosse le braccia come volesse conquistarlA, fermarla, e ci si butto come fosse un cuscino, e mai come allora si rese conto dell'importanza di essa.
Vide un chiosco di legno, che fungeva da edicola, c'era un uomo dietro il bancone, coperto dal giornale. G. , stremato, fu guardato con superiorità e con un'espressione di disgusto dall'uomo che gli disse "complimenti, sei arrivato prima di A. e della signorina M." gli porse una chiave, G. sorridente, raggiunse la porta che sapeva utile per la chiave in questione, la usò e si rifocillò con ogni varietà di cibo.
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