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Edipo
L'uscio scricchiolava sempre a quell'ora. Un rumore agghiacciante invadeva la casa ed un atroce silenzio taceva ogni indelebile suono e rendeva freddo, ostile l'ambiente.
Edipo balzava all'improvviso ed ogni suo organo di senso, salvo le orecchie, si annullava ed in quei interminabili secondi tremava, e sbatteva nervosamente le dita sulla scrivania. Tentava di capire quale membro della famiglia avesse aperto la porta, e capiva sempre quand'era il padre. Era un movimento violento, improvviso, un senso di minaccia ricopriva Edipo, lievemente, un velo impercettibile.
Il suo viso era in apprensione e quando attraversa l'ingresso il padre, cambia espressione.
Tentava di capire i suoi movimenti, le azioni, si figurava la posizione nella quale potesse in quell'istante, ma l'aspetto più importante era cosa avesse in mano.
Ogni precedente pensiero scompariva, i peggiori dei problemi erano inesistenti rispetto al timore di ciò che stava per accadere.
Quel giorno, il padre, si mise a sedere su un divano, Edipo sentì il suo peso su esso, e per sua disperazione, una zip, di una valigetta, una borsa, uno zaino, ritmicamente esplose, ed estrasse qualcosa da esso. Edipo pregava, scongiurava una qualsiasi divinità che quel giorno, non debba essere il suo, che quel giorno egli non sia la vittima. Lo distrassero dalle sue scongiure l'improvviso richiamo, egli macchinalmente si alzò e si diresse verso la ghigliottina.
Quando entrò nella stanza, il padre non l'osservò, manteneva lo sguardo basso su una valigetta nera, probabilmente di pelle di scarsa qualità , senza lasciar intravedere il suo contenuto.
Edipo notò che aveva la fronte alta, serena, privo di preoccupazioni, ma a un certo punto s'innervosì , una goccia di sudore gli sfiorò il capo e divenne rosso, s'intravedevano distintamente le vene sulle sue mani, con la mano sinistra, si toccò la barba grigia malcurata, grezza. Un lievissimo fiato di vento, lo fecero sobbalzare guardandosi intorno nervosamente, come se temesse che qualcuno lo stesse spiando.
Infine muovendo il capo, scorse con gli occhi Edipo e si ricordò del figlio, quest'ultimo si morse le labbra, come se avesse sperato che il padre non lo notasse, ma si rivelarono speranze vane.
Il padre si lasciò andare sul divano, rilassando i muscoli, scolorì , ed allargò le braccia, Edipo sembrava quasi intravedere un debole sorriso, stava quasi per ricambiare, salvo poi veder quel sorriso trasformasi in una sguaiata e malefica risata. Dopo qualche istante il suo viso riacquistò serietà , ed un ciuffo si pose, come una piuma sul pavimento, sulla fronte, si sporse in avanti, per scorgere Edipo come se cercasse un difetto, una particolarità in lui e, finalmente, gli rivolse la parola.
Si schiarì la voce, prese un oggetto dalla borsa e se lo nascose nella tasca posteriore dei pantaloni, stando attento a non renderla visibile ad Edipo, il quale non si permise di allungare lo sguardo.
: "Ti devo uccidere" , disse.
Edipo non provò timore, in quell'istante, bensì ebbe un 'espressione dubbiosa, interrogatoria, fece qualche goffo movimento con le mani, indeciso, se parlare o fuggire.
Un grande freddo ricoprì la sua pelle e, senza un preciso motivo, poggiò la mano destra sul labbro inferiore, e l'altra in tasca , il che gli conferiva un aspetto impacciato , dunque il padre sorrise. Edipo si lasciò cadere le braccia, aprì leggermente la bocca, ebbe una faccia contrariata, offesa, come se notasse solo ora l'insensibilità del genitore. Edipo si guardò i piedi e notò che tremavano, come se non appartenessero al suo corpo ma rivelassero le sue vere emozioni in quell'istante. Dunque riprese il controllo delle gambe e si diede alla fuga, mentre il padre non si mosse consapevole che il destino del figlio è segnato.
Edipo, intanto, si trovava dinanzi a una porta nella quale tentava il suo nascondiglio, probabilmente un angusto ripostiglio, ansimando riuscì a scovare un'indomabile forza e dischiuse l'uscio.
Mentre scovava la sua tana scorse con la coda dell'occhio, la figura del padre, come un'ombra, circondato dalla luminosa luce che proveniva dal balcone, aveva le gambe leggermente divaricate, le spalle molto larghe, e la sottile estremità del ciuffo era ancora percettibile al suo occhio, ma la cosa che in quel secondo agghiacciò Edipo fu, il vedere in mano del genitore, un coltello, lungo, troppo lungo, e si dirigeva minacciosamente e molto lentamente. La tranquillità dell'assassino innervosiva maggiormente il fuggiasco.
Chiuse la porta a chiave, si raggomitolò in un angolo, mordendosi le unghia, e controllava l'esile strato di luce che passava sotto la porta ad osservare ogni possibile ombra. Aveva i piedi uniti e li spingeva uno contro l'altro, forzando ogni muscolo della gamba, notò un suo laccio slegato, ma non osò muoversi, per metterli a posto. Aveva la pelle d'oca ed erano fastidiosamente percettibili i peli della gamba rizzati. Sudava ossessivamente, era un luogo angusto nel quale non passava aria, alla sua destra si trovavano alcune scatole, contenenti oggetti inutilizzati della casa, polverose, Edipo avrebbe voluto starnutire, ma lottò con se stesso affinchè questo non avvenisse. Non mosse un muscolo, salvo le labbra e i denti con i quali si mordeva le unghia, come fosse cibo, ossigeno. Non pensò ad alcun minimo, piano, progetto, per fuggire da quella situazione, ma ebbe in testa un unico pensiero fisso, stabile, rivedeva perennemente, come un impetuoso essere, quel coltello che con tanta violenza teneva in mano, quella sfocata immagine del padre in lontananza.
Rimase lì per molto tempo. Alcuni istanti ansimava vivacemente, per riprendere fiato, altri si tappava la bocca, per aver intravisto un'improbabile ombra, al di fuori del luogo in cui si trovava.
Fece paradossali pensieri li dentro, pensò alla sua vita, destinata dentro quelle quattro piccolissime mura, nutrendosi d'insetti, nell'insperata attesa di una salvezza. Poi ritornava alla realtà , ed alla paura, solida compagna di quei minuti. Pacamente venne la sera, ma nessuno si presentò su quella linea, tra libertà e follia, per uccidere Edipo, il quale, fece un infantile pianto, un pianto necessario, liberazione per un'infinita giornata. Si accasciò e dormì , qualche minuto. Lo destò la luce elettrica accesa al di fuori da, qualcuno, probabilmente l'assassino, Edipo si destò , ed iniziò ad ansimare, a sudare, e a consumare lacrime di paura, si pentì di aver dormito, e di non esser rimasto vigile. Una mortale chiave schiuse, la porta e un immensa, assoluta, maestosa, impetuosa luce si appropriò del cantuccio, ed Edipo accecato dopo tante ore di buio, ebbe un scioccante appuntamento con la libertà e come se ormai non appartenesse più alla sua esistenza, chiuse le pupille ed urlando e supplicando all'assassino di risparmiarlo, si nascose il viso tra le mani, poggiò le gamba sul muro, distendendosi il più possibile, sbattendo le ginocchia sul pavimento istintivamente, come se volesse abituare la sua epidermide al dolore. Ma l'unico a toccarlo in quella notte furono amorevoli braccia di madre, che tentarono, di togliere il viso di Edipo dalle mani che lo custodivano gelosamente ed abbracciarlo. Infine si arrese e si abbandonò ad un paradisiaco oblio.
Abbracciò la madre per disperazione, necessità senza riconoscere il suo viso, ma quando i sensi si riappacificarono la riconobbe dal suo inconfondibile profumo.
Il giorno dopo si trovava, su una sedia di plastica, in un pulito ospedale provinciale, solo in un lungo corridoio, e ancore temeva di scorgere quella figura dalle immense spalle, al principio dell'androne.
Nel frattempo, nella stanza accanto, sentiva conversazioni a lui inconcepibili, fra sua madre e una psichiatra.
Quest'ultima era una donna anziana, di larghe vedute, ben vestita e con mentalità aperta, disponibile ed apprensiva con i pazienti o, in questo caso, con i genitori dei pazienti.
La madre di Edipo riusciva a malapena ad esprimersi, coinvolta nelle lacrime, gesticolando a più riprese, e balbettando, riuscì a conversare con l'interlocutrice.
: "credo... abbia avuto una ricaduta, dottoressa. L'ho trovato nascosto nel ripostiglio e..."
Non ebbe coraggio di continuare, la dottoressa volle semplificarle il messaggio, avendo capito l'accaduto e disse, con voce rauca :
" Le ho sempre fatto presente, che questo giorno sarebbe giunto. Ormai sono più di due anni che vostro marito è stato condannato, le violenze che ha fatto a vostro figlio sono terribili, ma non dobbiamo illuderci che ci siano stati dei miglioramenti negli ultimi mesi, dunque credo sia d'accordo quando le dico che dobbiamo ricoverarlo in un ospedale specifico, nel quale ci sono esperti più adatti a questo caso del sottoscritto "
La madre annui.
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