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Bravi, violenti ragazzi
I ragazzi erano riuniti nella sede del Grifone fans club da battaglia nel centro storico di Genova, in Via San Luca. Dovevano organizzare le coreografie e i combattimenti per la successiva domenica di campionato, quando il Genoa avrebbe giocato in casa della Lazio.
Quell'anno entrambe le squadre si erano dimostrate mediocri ed erano impelagate nella lotta per non retrocedere. Per fortuna ci pensavano gli ultras a tenere alto l'onore delle rispettive società. Nel campionato che li riguardava di persona, infatti, i fans club di Genoa e Lazio lottavano per lo scudetto parallelo, appaiati in terza posizione, staccati di quattro lunghezze dai guerrieri al vertice, i temibili e spietati Atalanta fauns, e di due dagli Inter constrictors.
I Grifoni, ultras del Genoa e campioni in carica, avevano testa, cuore e fegato a sufficienza per puntare di nuovo allo scudetto. Inoltre sapevano infierire su ogni avversario in difficoltà in maniera così crudele da rasentare addirittura l'arte con la A maiuscola. Le nullità che ogni domenica calcavano il "campo verde", cioè il tradizionale rettangolo di gioco in erba, e infangavano i colori del Genoa, moltiplicavano nei ragazzi le energie e la rabbia da scaricare sul loro terreno di gioco, il cosiddetto "campo grigio", le gradinate in cemento.
Il match di andata tra le due bande metropolitane organizzate era stato intenso, sofferto e combattuto, con oltre un terzo dei lottatori schierati costretti all'abbandono prima del termine. Alla fine era stato dichiarato il pareggio, l'unico subito dal Genoa nel corso del girone di andata, e adesso, dopo un'infinita serie di proclami, entrambe le formazioni attendevano con ansia il giorno della resa dei conti.
In quel momento i ragazzi stavano discutendo sulla tattica migliore da utilizzare in battaglia.
"Le Aquile Lazio attaccano sempre sulle linee centrali." - disse il biondo e robusto Gran Grifone Sergio Papa, il capo, anzi, il Papa, com'era ormai noto in tutta Italia in sostituzione del titolo ufficiale, a riprova del suo prestigio. - "Applicando la tattica a tenaglia li metteremo in difficoltà."
"Basta che le ali siano capaci di reggere la spinta." Commentò uno del gruppo, alto e asciutto, volgendo significativamente lo sguardo verso il tizio mingherlino al suo fianco.
Il commento accese una sequela di discussioni, perché Costantino Remaggi, nome di battaglia Res Bellica, il piccoletto chiamato in causa, punto sul vivo, si offese e rispose per le rime:
"Ma porca miseria, è troppo comodo scaricarmi le responsabilità, la sconfitta di domenica deriva da un errore tattico e comunque statisticamente doveva capitare, dopo tanti risultati utili consecutivi."
"E poi tu non hai saputo eliminare vessillo e striscioni avversari, Mani di Pietra. Così ci hai fatto perdere sei punti e ci hai costretto a distogliere altre forze." Puntualizzò un altro.
Pietro Corigliano, detto Mani di Pietra, orgoglioso ex pugile dilettante, non apprezzò il commento:
"Che cazzo dici, Cosa!" - il vice capo, un bestione largo e solido come un armadio, si chiamava Jack Allemani e Cosa era il suo nome di battaglia, in omaggio al personaggio dei Fantastici 4 - " Se ci allontanavamo per levare gli striscioni come volevi vi travolgevano. Piuttosto se voialtri non vi facevate distrarre dagli striscioni insultanti e non lasciavate gli altri soli sul passante..."
"Adesso basta, ragazzi, OK? Acqua passata. Ascoltiamo cosa dicono in tv." Intervenne a quel punto con autorevolezza il Papa Sergio, vedendo che la discussione era diventata sterile.
Teleultracalcio, l'unica emittente telernet, tra quelle dedicate al calcio ventiquattro ore su ventiquattro, con egual spazio concesso al torneo giocato dai calciatori e a quello combattuto dagli ultras, stava mandando in onda proprio un servizio sulle squadre liguri.
L'attenzione di tutti si concentrò allora sullo schermo web ultrapiatto fissato a una parete. Mostrava immagini tratte dal recente derby della lanterna. Dapprima si trattò di normali azioni di gioco, culminanti nel gol della vittoria sampdoriana, che provocò tra i ragazzi un fremito d'ira così intenso da scuotere i vetri del locale. Dal vivo, impegnati com'erano in una concitata fase di guerra, si erano accorti del gol solo per l'urlo di gioia dei "tribunini", il danaroso e molle pubblico pagante che assisteva al doppio spettacolo.
Infine le immagini tornarono nello studio, dove quattro opinionisti discussero dapprima sul match tradizionale e poi, finalmente, del loro derby.
"Ha destato clamore l'inattesa e pesante sconfitta dei lanciatissimi ultras grifoni del Genoa per 15 a 6." - Disse il conduttore - "Cosa ne pensate di questo crollo? Il Genoa ha un pacchetto di spinta di potenza impressionante e veniva da uno score positivo di otto vittorie consecutive, di cui ben cinque da tre punti, e pareva ormai lanciato verso la vetta della classifica. Il crollo verticale della formazione ha colto un po' tutti alla sprovvista."
"Beh, sai benissimo anche tu che i derby fanno storia a sé e se ciò è valido per le partite verdi tanto più lo è per le grigie" - Rispose uno degli opinionisti, un noto scrittore ultrasettantenne dai lunghi e ormai radi capelli bianchi. - "Perdere un derby grigio è considerato ignominioso da ogni ultras, mentre un successo basta a rivalutare la stagione. Spesso proprio le formazioni più deboli riescono a quadruplicare le energie quando si trovano a combattere contro gli odiati cugini ed è proprio quanto è successo domenica. E poi gli ultras del Doria potenzialmente sono all'altezza del Genoa. Quest'anno ho seguito sovente i Pirati e posso assicurare che quanto a preparazione atletica, coraggio e capacità strategiche non sono secondi a nessuno. Quanto a mio parere gli manca è la necessaria furia agonistica e un pizzico di cattiveria. Quei lupi di mare hanno cuore e fegato da vendere, ma non sanno infierire sugli avversari, ecco perché navigano a metà classifica..."
A quel punto, mentre i commentatori continuavano a parlare, andarono in onda altre immagini della domenica precedente, incentrate stavolta sugli scontri tra le tifoserie.
Dapprima i ragazzi si rallegrarono rivedendo La Cosa, con indosso il suo famoso abito arancione finto roccioso, prendere i nemici a pugni e conquistare posizioni su posizioni al comando del proprio reparto. Le scene successive furono però seguite in un mesto silenzio, sporadicamente interrotto da mugolii di vergogna. Esse mostravano la rotta del 98'. Gl'incontri-scontri sugli spalti iniziavano ufficialmente un quarto d'ora prima del fischio d'inizio della partita tradizionale. Siccome erano assai dispendiosi, ogni 40 minuti c'era un intervallo, in cui le posizioni dovevano essere rigorosamente mantenute, pena pesanti squalifiche. I combattimenti riprendevano alla fine di ciascun tempo verde e terminavano 40 minuti dopo il triplice fischio finale, quando una sirena ordinava l'immediata sospensione delle ostilità. Dunque il match grigio durava in totale due ore.
Al 98' gli ultras della Sampdoria, in un impeto di rabbia furibonda, avevano travolto l'ala destra Genoana lasciando sul campo ben dodici avversari. Era stato l'inizio del crollo.
I ragazzi ora dovettero guardare alcuni nemici, tra cui il vice capitano sampdoriano Olonese, un colosso dagli occhi spiritati, sospingere indietro una mezza dozzina di ragazzi, travolgerli e calpestarli mentre procedevano accanitamente in avanti.
Subito dopo Res Bellica, il piccolo karateca ed ex calciatore al comando dell'ala destra, ammirò sé stesso mentre, insieme ad alcuni compagni, si lanciava nella calca armato di randello gommato per aggredire un plotone di energumeni avversari. Gli occhi gli brillavano mentre si rivedeva schizzare in avanti a piedi uniti e spianare un bestione che pareva forte come un toro, per poi rimettersi immediatamente in guardia e, intanto che quello cercava ancora faticosamente di rialzarsi in piedi, stenderlo a mano nuda con un preciso colpo di taglio alla base del collo. Nelle riprese si rivolgeva quindi, rapido come un furetto, all'antagonista successivo, accoppandolo con una secca randellata sulla tempia, mentre questi si trovava avvinghiato a uno degli altri guerrieri. Infine il gruppetto di Costantino veniva a sua volta travolto dalla pressione sampdoriana mentre lui stesso subiva una percossa al fianco con una mazza da baseball, per fortuna senza essere preso in pieno perché, nonostante gli abiti imbottiti, un colpo del genere avrebbe potuto causare seri danni.
Le telecamere si concentrarono quindi sul Papa. Sergio era stato impegnato a combattere coi suoi uomini al centro degli spalti, menando gran fendenti e seminando il panico tra i nemici. Aveva però dovuto interrompere l'azione per trattenere l'impeto dei nuovi avversari e così, preso tra due fuochi, era stato abbattuto da una violenta sprangata alla schiena dal Gran Lupo di mare in persona, comandante in capo dei Pirati, che si era quindi scagliato su di lui mentre era ancora disteso a terra, mettendolo definitivamente fuori gioco.
Tutto ciò era accaduto sotto lo sguardo compiaciuto dei poliziotti in tenuta antisommossa. Costoro si limitavano ad assicurarsi che i combattenti rispettassero le regole e non cercassero di scavalcare le transenne per andare a disturbare il pubblico pagante, evento peraltro rarissimo. Erano poi liberi di fare il tifo per l'una o l'altra banda e commentavano ad alta voce con tono professionale le fasi salienti degli scontri.
Ma come si era giunti a un tale stato delle cose? All'origine di tutto c'era, forse, la progressiva iper tecnologizzazione e disumanizzazione della guerra che, allontanando per sempre l'era gloriosa dei singolar tenzoni, vanificava la naturale aggressività umana, costringendola a cercare altri sbocchi. E il calcio si era dimostrato la valvola di sfogo ideale.
La violenza negli stadi italiani ha una lunga storia. Forse a detenere l'onore del più remoto scontro documentato nel Bel Paese è un Juventus Genoa del 1905: un'invasione di campo costrinse, a quanto pare, alla sospensione della partita. Successivamente gli incidenti si ripeterono sempre più sovente. Un evento particolarmente grave si registrò nel gennaio 1914, al termine della partita Spes Livorno - Pisa Sporting club. Dopo un'iniziale sassaiola, tra le due tifoserie si verificò addirittura uno scambio di pistolettate.
Poi, via, via che il calcio divenne sport di massa, teppismo e scontri s'intensificarono in maniera esponenziale. Migliaia di ragazzi scelsero quel luogo d'incontro e aggregazione per scaricare le proprie frustrazioni contro gli avversari e le stesse forze dell'ordine. A quel tempo non si riusciva più ad arginare i teppisti e migliaia di poliziotti presidiavano, quasi in assetto di guerra, ogni impianto, non solo di serie A ma perfino delle categorie minori. Atti di vandalismo si verificavano nelle zone limitrofe agli stadi già nelle ore precedenti alle partite e proseguivano dopo gli incontri. Molti appassionati non osavano più portare mogli e figli a vedere la squadra del cuore per paura di coinvolgerli in incidenti. Ogni tanto il governo dava un giro di vite, garantendo brevi periodi di calma relativa, ma alla lunga non c'erano tornelli che tenessero, prima o poi le violenze degli ultras tornavano a prevalere.
La grande innovazione risaliva a una quindicina d'anni prima, nel corso del terzo decennio del nuovo millennio. Fu l'allora presidente del consiglio, il discusso magnate tv Pier Silvano Garlasconi, a partorire l'idea geniale. Perché, si chiese, non regolamentare le violenze negli stadi, in modo da convogliarle affinché nessun innocente vi restasse coinvolto e lo Stato risparmiasse sulle spese? Le sue emittenti avrebbero inoltre avuto un nuovo appassionante spettacolo da trasmettere.
Una volta convinta l'opinione pubblica, superata la scontata e ottusa resistenza dell'opposizione e trascorso il necessario periodo di sperimentazione, si arrivò alla regolamentazione che vige ancora ai giorni nostri. Sarebbero stati dunque disputati due campionati paralleli. A quello tradizionale 11 contro 11, giocato sul rettangolo verde dal cui colore avrebbe preso il nome, se ne sarebbe aggiunto un secondo, detto "grigio", per la tinta prevalente sulle gradinate in cemento.
Ciascuna banda di ultras avrebbe avuto a disposizione rose di 150-200 guerrieri da cui estrarre le formazioni che avrebbero combattuto i vari match. Gli scontri si sarebbero svolti in zone degli spalti appositamente attrezzate e a prova di danneggiamenti, dove i guerrieri avrebbero lottato a mani nude o usando armi contundenti accuratamente calibrate per limitare i danni. Al punteggio finale avrebbero contribuito sia i successi conseguiti in battaglia sia i risultati ottenuti nella preparazione delle coreografie e nella difesa del proprio vessillo. Alla fine sarebbero stati assegnati 3 punti in caso di vittoria larga, cioè avendo totalizzato più del doppio del punteggio raggiunto dagli avversari, due punti per le vittorie di stretta misura, uno per il pareggio e ovviamente zero in caso di sconfitta. Sarebbero state inoltre comminate squalifiche e penalizzazioni in caso di irregolarità.
Il sistema funzionò egregiamente. Con l'avvento del campionato ultras, i ragazzi più facinorosi presero a sfogarsi negli stadi, trasformando la mera violenza in sport e arte. In Italia non si verificarono quasi più né violenze, né atti di vandalismo gratuito né tensioni sociali, le città divennero molto più vivibili e calò perfino il tasso di criminalità. Gli incontri venivano trasmessi in diretta tv e chi desiderava godersi lo spettacolo dal vivo aveva a disposizione zone appositamente delimitate per il pubblico pacifico, assolutamente sicure, da cui si potevano seguire senza rischi sia gli incontri sia gli scontri.
E il successo fu così enorme che il sistema prese a diffondersi nel mondo. Dopo il buon esito del recente torneo europeo, si meditava perfino di organizzare i primi campionati mondiali paralleli a quelli ufficiali. Gli italiani potevamo andar fieri della grande innovazione da loro conseguita.
Intanto il sede il video si restrinse e si oscurò. Sergio aveva interrotto la connessione. Questi aveva la spalla destra ancora fasciata e dolorante, ma stringeva indomito i denti, ben deciso a partecipare ugualmente al match successivo. Era dunque giunto il momento di terminare il piano strategico e studiare le vie di fuga e d'attacco dell'Olimpico.
Quando Sergio Papa diede finalmente il rompete le righe, Res Bellica si fece accompagnare dagli amici in un ipermercato automatico in funzione ventiquattro ore su ventiquattro. Doveva fare la spesa per sua madre, troppo ammalata per provvedere da sé. Una volta visionati i prodotti, battuti alla consolle e inviati a domicilio con consegna web istantanea, lui, La Cosa e Mani di Pietra decisero di rilassarsi un paio d'ore al vicino pub, chiacchierando e bevendo birra e whisky.
"Sai Cosa" - raccontò Mani di Pietra, in vena di confidenze, dopo aver trangugiato il terzo beveraggio - "io non ho mai saputo cosa volevo davvero dalla vita. Credo proprio di essere un buono a nulla. Da bambino sognavo di andare all'università e diventare medico. Invece non sono nemmeno riuscito a finire le superiori. Non riesco a terminare nessuna delle attività che comincio. Quando a diciannove anni ho smesso la scuola, avevo accumulato tre bocciature ed ero odiato da tutti i professori."
"Che ti frega, Pietro. Adesso ai medici il lavoro glielo procuri, sei nel campo ugualmente, no?" Rispose La Cosa, ridacchiando.
"Non scherzare, per favore, Jack. Certo, tu hai ragione, non mi posso lamentare. Sono stato anzi fortunato e già non vedo l'ora di tornare a menar le mani. Volevo solo dire che... ecco, senti, io non ho mai ottenuto successi nella vita, da nessuna parte. Nemmeno come pugile ero un granché..."
"Ma se hai vinto undici incontri."
"Sì, ma l'ultimo anno ne ho persi tre dei cinque disputati e il mio ultimo incontro l'ho vinto solo perché combattevo in casa, ma ne ho prese un sacco e dopo il verdetto sono uscito tra i fischi. Troppi sacrifici, vita troppo dura, non avevo sufficiente forza di volontà. Ho il pugno pesante, lo sai anche tu, e volendo avrei potuto essere un numero uno, ma non avevo le palle per fare carriera. Non ci credevo più e ormai erano più le botte che prendevo di quelle che davo. Il mio destino era di diventare un pugile suonato, come in quel vecchio film a episodi, hai presente, con Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman. La mia è sempre stata una vita di merda."
"Ma non è vero, dai, dopotutto anche qui prendiamo tante botte, eppure non ti tiri mai indietro."
"Ed è tutto merito vostro. Proprio questo volevo dire. Sono felice di avere trovato qui gente con le palle quadrate, come te, ecco. È grazie a voi se mi sento bene e ho finalmente trovato la mia strada."
"Ha ragione, Jack, anch'io devo ringraziare tutti voi e il Papa per avermi voluto." - Interloquì Res Bellica. - "Quando giocavo a calcio ero pieno di illusioni. Poi mi ruppi i legamenti e dovetti rinunciare ai miei sogni, un lavoro decente dopo la scuola non riuscivo a trovarlo e io, beh..."
Per nascondere il disagio Jack si mise a ridere sgangheratamente, interrompendolo.
"Ehi, ma mi volete proprio mettere in imbarazzo voi due, stasera?" - Commentò poi. - "Siamo qui per fare bisboccia, non per piangerci addosso. Forza, il prossimo giro l'offro io! Baristaa."
Erano ancora lì a bere e a discorrere quando notarono tre ragazze sui diciotto vent'anni intente ad osservarli da lontano, a occhi spalancati. Accortasi di aver attirato la loro attenzione, una delle tre, una brunetta coi capelli tagliati cortissimi, alla maschietta, piccola di statura e rotondetta ma assai graziosa, si fece allora coraggio e s'avvicinò al tavolo per chiedere gli autografi. Jack La Cosa Allemani l'accolse con un sorriso soddisfatto.
"Stasera si rimorchia, ragazzi." Sussurrò poi, piegandosi un momento verso gli amici.
Per tutta risposta i compagni sorrisero a trentadue denti, già pregustando le gioie del sesso.
Certo, a prima vista le loro esistenze apparivano un po' limitate. Per quei tre sembrava esistere solo il club, per il quale scatenavano violenze inaudite, ferendo e maltrattando il prossimo, ma in realtà non erano soltanto dei brutali picchiatori. Jack Allemani era semmai un allegrone, sfrontato ed estroverso. Costantino Remaggi e Pietro Corigliano invece erano persone tranquille, timide e gentili. Tutti e tre erano dei bravi ragazzi ma nessuno, vedendoli scatenarsi sugli spalti, dove si trasfiguravano, se lo sarebbe potuto immaginare.
D'altra parte era proprio quella valvola di sfogo a permettergli di restare brave persone, ripeteva sempre a sé stesso Res bellica, l'esperto in statistiche del gruppo. Altrimenti, costretti a reprimere la loro aggressività latente, sarebbero stati da tempo sopraffatti dalle proprie frustrazioni. Come lui amava sempre ripetere, il calcio gli aveva salvato la vita. Era, infatti, convinto che se non si fosse fatto coinvolgere nelle attività degli ultras sarebbe diventato un disadattato e sarebbe finito in galera. Così invece tutti loro, grazie al Grifone e, ovviamente, alle indubbie capacità che li contraddistinguevano, nonostante le critiche dei soliti benpensanti, erano amati, invidiati e riveriti: erano finalmente diventati qualcuno.
E domenica, come promisero i tre all'unisono per farsi belli con le neo arrivate, gliela avrebbero fatta vedere agli aquilotti Laziali. Sarebbe stata una battaglia indimenticabile, da commemorare a memoria futura negli annali del calcio grigio.
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0 recensioni:
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Anonimo il 08/05/2011 18:36
Diciamo che il testo non rientra nei mei preferiti, ma grazie al tuo modo di esporre il contenuto che sei riuscito ad accativare la mia simpatia. Non so se ho reso l'idea, nel senso che ciò che non mi piaceva prima ora comincio ad assaporare cose nuove grazie a te.
- Se conto tutti i tuoi interventi in calce ai miei racconti arrivo a numeri alti, cara Smeraldoeneve e quindi che dire? Ti sono riconoscente. (E tanto più perchè davo per scontato che questo racconto sarebbe stato lontanissimo dai tuoi gusti). Grazie.
Anonimo il 08/05/2011 18:01
Quando ti leggo rimango impalato col naso sul p. c. e nn vorrei mai arrivare alla fine. Non so commentare come si deve anche perchè ci vorrebbe un commento professionale, sappi solo che mi piace leggerti, quindi considerami tua fans
- In effetti ho già pronto un nuovo racconto intitolato "Noi ultras combattenti", che dividerò in 2 puntate perchè è un po' lungo e che di fatto è il seguito di questo (essendo però ufficialmente un racconto autonomo nella prima pagina ho ripetuto qualche concetto). Narra la partita in programma quella domenica tra Genoa Lazio o meglio la battaglia tra Grifoni e Aquile. A meno di imprevisti la prima puntata dovrebbe apparire già domani, la seconda, piuttosto apocalittica, e che vorrei ancora rileggere, conterei invece di postarla domenica prossima. Grazie per l'apprezzamento e salutoni
- Idea interessante chissà se funzionerebbe davvero. Dovresti scriverne un altro dove fai la cronaca di un incontro/scontro.
- Grazie e mille. Non amando (e sapendo) io scrivere pezzi brevissimi è fonndamentale saper tener destsa l'attenzione. Sono lieot che a tuo giudizio io ci riesco. Grazie e ciao anche a te.
Anonimo il 02/05/2011 13:43
Molto originale... chissà mai se anche nei tifosi "regolari" frullano queste idee. Al solito hai una capacità di tenere incollati al racconto... fantastico ma non troppo, quasi reale... ciaociao.
- Sono contento che ti sia piaciuto, anche perchè ho scelto un tema assai particolare e non potevo fare a meno di chiedermi quali reazioni avrebbe suscitato. Grazie.
- letto tutto d'un fiato... bello... scritto benissimo
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