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Il volo dell'angelo indemoniato
Lo sceriffo Steve Burke fece un tiro dalla sua sigaretta, sentendo le guance stringersi per poi tornare ad arrotondargli il volto dopo avere soffiato fuori il fumo dall'angolo destro della bocca. Ebbene sì, quel martedì mattina avrebbe fatto meglio a non fare colazione, le fette biscottate che usualmente mangiava alle otto, prima di entrare in servizio, gli stavano dando il voltastomaco.
Guardare da quel precipizio e identificare quella che fino a poco prima gli era sembrata una banale macchia scura spiaccicata su un grosso masso in riva al mare, lo tormentava facendogli salire un puzzo nauseante dallo stomaco. Adesso, fermo sul ciglio della scogliera, pensava alla ragazza che si era buttata di sotto, Karin Evans.
La ragazza modello, la prima della classe, la vincitrice del ballo scolastico per due anni consecutivi, si era tolta la vita, e di lei, adesso, non rimaneva altro che il corpo brutalmente districato sul masso a più di sessanta metri più in basso da dove si trovava lo sceriffo.
Come formiche, alcuni agenti della scientifica bazzicavano attorno al corpo della giovane alla ricerca di una spiegazione, oppure di un qualsiasi indizio che avesse potuto metterli sulla buona strada.
Ma lo sceriffo Burke sapeva già che cos'era accaduto, e adesso, dopo che una folata di vento gli accarezzò la testa pelata facendolo rabbrividire, si strinse nella divisa color beige. Poco prima, il vicesceriffo Martin Rogers, era accorso spiegando che gli avambracci e la mandibola superiore si erano distaccati dal corpo a causa del forte impatto, schizzando a diversi metri di distanza; ecco spiegato il motivo della nausea.
Durante i suoi venticinque anni di servizio, aveva visto molti casi orribili, e pertanto il suo fiuto si era sviluppato in maniera tale da essere abbastanza efficace. Quello era un caso di suicidio, tutto qua.
Arricciò il naso e voltandosi, notò le gocce di sangue irregolari che tracciavano una traiettoria rettilinea, per poi fermarsi sul ciglio. La ragazza, a detta di molti, usava tagliarsi con un taglierino, e a proposito di Luke Evans, che era il pastore del paese, era in quell'istante seduto su una sedia sul portico di casa sua, cinquanta metri più indietro dall'ultimo sasso che la figlia aveva usato come trampolino.
Il pastore Luke, con gli occhi chiusi e le lacrime che non si erano ancora asciugate del tutto sulle guance increspate dalle rughe, pregava con i capelli grigi che, su entrambi i lati della testa, si muovevano a causa del forte vento innalzatosi da qualche minuto.
Lo sceriffo Burke percorse il sentiero a ritroso, racchiuso da una radura che costeggiava l'intero perimetro della scogliera, e una volta giunto a una decina di metri dalla casa, si soffermò ad osservarla; a forma di L, la costruzione si presentava su tre piani, di cui il terzo praticamente inabitato per via della capriata di legno intermedia che aveva ceduto all'estremità sinistra. L'arancione maculato di bianco delle facciate, s'intonava benissimo con i mattoni rossastri che contornavano con un'altezza di un metro tutte e quattro le pareti esterne della casa, e a parte il lato ovest, completamente ricoperto dall'edera che oramai aveva raggiunto il tetto, si poteva affermare che era una delle abitazioni più solari di tutta Ramblyn.
Dopodiché, Steve Burke riprese a camminare, e fatti i tre scalini che davano sul porticato, rimase con la fronte sudata a fissare il padre di Karin. Il pastore non si mosse di un millimetro, e con le mani in posa di preghiera, metteva in evidenza le mezzelune di sudore sotto le ascelle, che iniziavano a scurire la camicia blu.
- Pastore non so cosa dire, sono sconcertato.
L'altro scosse lentamente la testa restando sempre a occhi chiusi.
- Dio mi sta parlando, e la sua voce mi riscalda l'anima.
Burke trasalì restando senza parole.
- Sceriffo Burke, sa per caso dirmi per quale motivo mia figlia fosse diventata un angelo indemoniato?
Lui fece vibrare il labbro inferiore, per cercare di trovare l'appiglio giusto, ma fu inutile, disse la prima cosa che gli passò per l'anticamera del cervello.
- Non lo so pastore, certe cose non si possono spiegare.
Poi, sulla sinistra, lo sceriffo notò quello che sembrava essere un diario, tenuto insieme da un elastico viola. Appena lo afferrò, sentì dietro di lui la voce di Luke Evans scattare come se stesse celebrando una delle sua funzioni domenicali.
- Legga cosa c'è scritto, sono parole malvagie, derivanti da una mente malvagia e inumana: quelle sono le parole di un essere demoniaco!
Burke notò le prima persone raggiungere il ciglio della scogliera portandosi le mani al petto. Ebbene, l'orrore non aveva tardato. Erano le nove e mezzo, e probabilmente la ragazza aveva spiccato il volo alle prime luci dell'alba.
Lo sceriffo trasse un profondo respiro, si accese l'ennesima sigaretta, prese posto di fianco al pastore, e iniziò a leggere il diario, dove la copertina presentava delle gocce di sangue oramai rappreso:
"Il mio nome è Karin Evans, perdonatemi se non mi soffermo molto nei particolari, ma devo sbrigarmi a scrivere, perché l'entità potrebbe tornare da un momento all'altro. Ora mi trovo nella mia stanza da letto, sono le undici di sera e fuori piove ininterrottamente da quasi due giorni. La nebbia che sale dalla scogliera inizia ad avvolgere lentamente casa mia, e io, da quel fitto e bianco muro che vedo dalle finestre, prendo ispirazione per raccontarvi che il male esiste, ed è sempre vicino a noi. Bene, cominciamo dal principio.
14 settembre 2010.
Quel giorno mi trovavo sul portico di casa mia a leggere un libro, un best-seller che avrei dovuto riassumere per un compito in classe. Erano le due di una domenica pomeriggio nuvolosa, e i raggi del sole penetravano di tanto in tanto tra le nuvole, chiazzando il paesaggio. Sul tavolino di ciliegio davanti a me, ci sono due lische di pesce avvolte da un foglio di carta. Penserete che sia pazza, ma qui a Ramblyn, un piccolo paesino nel Galles, per i giovani sulla soglia dei diciotto anni non c'è molto da fare, quindi, almeno alla domenica, mi diverto a sfamare un gatto che ho chiamato Felix, una palla di pelo bianco con le orecchie a punta color ruggine. Ebbene, quel giorno accadde il primo fatto strano. Mio padre era andato in paese per fare rifornimento di cibo, e io, aspettando ansiosamente l'arrivo del gatto, udii una voce chiamarmi: Karin, Karin, Karin.
Proveniva dall'interno della casa. Quindi mi alzai portandomi i lunghi capelli neri dietro alle orecchie, e una volta in soggiorno mi accorsi che al secondo piano, l'acqua delle doccia scrosciava rumorosamente. Com'era possibile? Percorsi le scale con la vestaglia bianca che mi impediva di fare passi troppo lunghi, e finalmente mi trovai di fronte al bagno. Ora dovrete fare un grande sforzo, perché quello che sto per raccontarvi sarà veramente difficile da credere.
La porta si aprì davanti a me, e percepii una figura che passò al mio fianco per poi scendere le scale. Ricordo di avere cominciato ad avere freddo, e poi, in bagno, trovai una scena molto cruda; Felix era nella vasca da bagno, e l'acqua che sembrava essere vernice rossa, in realtà era sangue. Le zampe dell'animale erano state mozzate e gli occhi asportati. C'era sangue ovunque, e io rimasi a fissare l'animale che, come un pezzo di legno nell'acqua, s'incurvava, si alzava, e infine ripeteva il ciclo di movimenti tornando sotto il pelo della superficie.
Io caddi sul pavimento con le mani sulla bocca, e lo stomaco che si contraeva in un disperato tentativo di liberarsi.
7 ottobre 2010.
Alle sette di quel giovedì sera, io e mio padre avevamo deciso di cenare con il dottor Johnson, colui che si prendeva cura di tutte le persone di Ramblyn. In verità mio padre, che è il pastore Luke, credo lo avesse invitato più che altro per un consulto riguardo i miei comportamenti mostrati durante le ultime settimane. Le mie insonnie e lo scarso appetito, avevano messo in moto la preoccupazione di mio padre.
Una volta che la tavola fu pronta, salii le scale, e alla distanza di circa un mese, sentii di nuovo l'odore del pelo bagnato di Felix che giaceva nella vasca brutalmente mutilato. Mio padre mi aveva ritrovato a terra con gli occhi sbarrati sulla vasca da bagno.
Secondo lui dovevo avere ucciso il gatto in un momento di crisi, ma non era andata così: qualcuno o qualche cosa si aggirava tra le mura di casa mia, e sembrava interessarsi proprio a me.
Comunque, tornando alla sera in cui il dottor Johnson venne a mangiare da noi, quella fu un'altra delle tante occasioni in cui un'entità, o uno spirito, cercò di mettersi in contatto con me.
Una volta giunta in camera mia, mi misi davanti allo specchio che ricopriva parte della parete vicino alla scrivania. I capelli mi si arricciavano sopra alle spalle, e avevo il viso pallido. Poi sentii uno scricchiolio, e voltandomi, vidi sul mio letto una strana cosa: era l'usuale conca che si formava quando qualcuno ci si sedeva sopra.
Trasalii lentamente e poi un terribile suono invase la mia mente, seguito da un frase: KARIN VENITE AD ME FLUIT SANGUINE EST PER VENAS!
Vieni da me Karin, il tuo sangue scorrerà nelle mie vene!
Conosco benissimo il significato di quella frase, e studiando latino a scuola, posso confermare la mia traduzione.
Subito dopo caddi a terra, sotto una forza disumana che cercava di strangolarmi. Sentivo il respiro mancarmi, e gli occhi fuoriuscire dalle orbite, poi, come un disperato tentativo irrazionale di liberarmi da quella presa, inizia a pregare mentalmente, e tutto finì.
Mi rialzai piangendo, e notai la croce posta sopra il mio letto sanguinare sul cuscino, e poco dopo si formò un nome: Samael".
Lo sceriffo Burke alzò lo sguardo passandosi una mano sulla fronte sudata. Si sentiva strano, come se ciò che avesse appena letto gli stesse provocando una sorte di reazione tra quello in cui aveva creduto fin da piccolo, e il termine razionalità.
Il pastore Luke era sempre seduto vicino a lui, come una guida che si sarebbe svegliata al momento del bisogno, e così fece.
L'uomo aprì leggermente gli occhi. - Ha letto quel nome?
Burke esitò. - Quale nome?
- Samael.
- Sì ho letto, e credo che sua figlia soffrisse di una grave forma di depressione.
Luke sorrise traendo un lungo respiro. - Si sbaglia caro mio. Mia figlia era entrata in contatto con quel demone.
- Demone?
- Esatto. Sono un pastore, e conosco molto bene i testi demo neologici.
- Si spieghi meglio.
- Samael viene citato nel libro di Enoch, come un angelo ebraico. Il suo nome può significare molte cose: castigo di Dio, oppure veleno di Dio.
Lo sceriffo portò all'angolo destro della bocca un'altra sigaretta, abbassò lo sguardo per accenderla, e poi tornò a fissare il padre di Karin Evans.
- Sta dicendo che a uccidere sua figlia è stato per caso un demone?
- Forse. Nella letteratura rabbinica Samael ha il compito di accusare gli uomini davanti a Dio, è anche riconosciuto come il serpente che tenta Eva nella Genesi, oppure come l'angelo della morte.
- Non ho capito una parola di quello che ha appena detto pastore.
L'altro rimase indifferente, e con gli occhi puntati sulla folla di gente sopraggiunta per vedere il cadavere di sua figlia giacere ai piedi della scogliera, continuò con la spiegazione.
- In alcuni scritti, viene anche menzionato che Samael potesse essere un arcangelo, colui che lottò con Giacobbe.
Lo sceriffo Burke tornò con lo sguardo basso, voltò pagina, e continuò al lettura del diario:
"18 dicembre 2010
Voi credete nel male? Io ho iniziato a farlo dopo i primi avvenimenti, e vi assicuro che ciò che mi è successo non è frutto della fantasia di una diciottenne mentalmente depressa, bensì di una persona che è stata scelta. Per fare che cosa? Questa è la domanda che mi fa impazzire. Perché quell'essere parla con me? Per quale motivo mi perseguita facendo cose orribili?
Comunque, quel martedì 18 dicembre, verso le due di notte, mi svegliai respirando affannosamente. In posizione supina, e con le ginocchia che mi tremavano, iniziai a udire dei passi pesanti su per le scale, e sembravano avvicinarsi sempre di più alla mia stanza.
Mi portai sotto alle coperte, sentendo la porta aprirsi.
Poi una voce stridula che mi sussurrava vicino all'orecchio sinistro: ET OCCIDENT VOS ANIMA LAC, QUIDNI METATRON TE IAM PUGNA COEPIT!
Ti ucciderò risucchiandoti l'anima, oramai Metatron non può più aiutarti!
Tutte quelle parole insignificanti mi penetrarono nella mente, e senza che io potessi rendermene conto, mi ero alzata dal letto scendendo le scale. Era come se fossi incatenata all'interno del mio corpo, non potendo quindi gestirne i movimenti.
Quella specie di forza che mi usava, mi portò in soggiorno, dove presi un taglierino iniziando a tagliarmi i polsi. Poi la mia testa si sporse in avanti, e l'entità costrinse il mio corpo a bere il sangue".
Lo sceriffo Burke alzò di nuovo lo sguardo sul pastore.
- Chi sarebbe Metatron?
L'altro lo fissò per qualche istante, poi sospirò. - Nell'esegesi ebraica si pensa che è il nome di un angelo del Giudaismo, il principe associato al bene dell'albero della conoscenza del bene e del male.
Burke inarcò le sopracciglia. - L'unica cosa che ricordo è il cubo di Metraton, ho visto un programma alcuni giorni scorsi alla televisione.
Il pastore Luke accennò un sorriso.
- Che storia pazzesca-, continuò lo sceriffo soffiando fuori il fumo dal naso, - lei crede davvero a ciò che ha scritto sua figlia?
L'altro fece un movimento con la testa che Burke non riuscì a decifrare, poi lo fulminò con lo sguardo.
- Credo che esistano altri mondi al di fuori del nostro sceriffo, Metatron è colui che protegge i vivi dal demonio. In qualche modo cerca di controbattere la loro forza, anche se non sempre riesce a vincere.
- E riguardo al demone? Crede che si sia impossessato di sua figlia alla fine?
Il pastore annuì. - I demoni cercando di colpire le persone che hanno una cosiddetta aurea sviluppata.
Burke annuì alzando lo sguardo sui primi raggi di sole che colpivano la barella posta vicino al precipizio. Attendeva l'arrivo di un corpo, di un angelo indemoniato. Poi, spinto da un irrefrenabile desiderio di sapere, tornò alla lettura, anche se da leggere non fosse rimasto molto:
"... ora devo andare, mi fanno male le dita talmente ho scritto veloce, e poi sento la voce dell'essere crescere dentro di me, la sua anima occupare il profilo del mio corpo, tappando qualsiasi vena e paralizzando tutti i muscoli... non riesco più a scrivere... ora l'essere mi sta ordinando di andare alla scogliera... addio mondo!".
Quando si alzò dalla sedia, Steve Burke sentì il sedere formicolargli. Di fronte a lui, il pastore lo fissava, sembrava sereno, libero dal dolore di sapere la propria figlia morta. Lanciò uno sguardo verso la scogliera, e vide la barella ricoperta da un lenzuolo macchiato di sangue. Era giunto il momento di andare, porse la mano a Luke e poi rifece i tre gradini che lo portarono sul giardino. Dopo aver percorso una ventina di metri, lo sceriffo Burke si voltò , notando che la sedia sulla quale era seduto poco prima il pastore era vuota. Era già entrato in casa?
Poi sentì la voce del vicesceriffo Rogers chiamarlo.
- Signore, abbiamo trovato anche l'altro corpo.
Burke inarcò le sopracciglia. - Quale altro corpo?
- Il padre di Karin signore, pensano che prima di suicidarsi la figlia lo abbia ammazzato con un coltello da cucina.
Lo sceriffo rimase impalato con lo sguardo sul porticato della casa: eppure gli era sembrato che fosse davvero vivo.
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