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L'amore radioattivo

Non soffro più.
Mi sento bene, ho visto tanta luce e ora guardo la mia stanza e vedo persone attorno a me e osservo il mio corpo sul letto. Vorrei sapere dove sono e perché penso ancora e conoscere cosa farò quando non vedrò più e non ascolterò e non proverò più nulla.
Ho paura di dimenticare, di sapere se sono ancora vivo o morto. Ho paura del castigo di Dio per quello che è accaduto, del giudizio di chi mi conosce e di chi mi ha conosciuto e stimato e voluto bene.
Ho paura del nulla e del buio che verrà quando gli ultimi lumi della mia coscienza si spengeranno e nuvole di oscurità mi avvolgeranno e mi porteranno via.
Lontano da qui, da questo letto di dolore. Via dai miei ricordi e i miei pentimenti.
Credo che sia troppo tardi per chiedere perdono e spiegare tutto a Dio che non mi capirà.
Per questo, ne sono sicuro, mi ha punito e ha voluto che morissi per la colpa che ho commesso.
Eppure non mi sono accorto di morire.
Ho solo finito di avere dolore.
È come se potessi parlare, ridere, gioire, scaldarmi e accecarmi di luce. Vedo un colore bianco che sfuma la stanza e non so più descriverlo con parole umane, chè ormai non so più cosa sono e cosa diventerò, prima che i demoni degli inferi spegano questi ultimi attimi di percezione.
Madame è lì, seduta accanto a me, con le sue stoffe nere e il suo cappello in mano.
E altre persone sono venute dopo che i dottori sono andati via.
Hanno messo un paravento attorno al mio letto.
Posso guardare dappertutto. Vedo gli altri malati. Passo attorno alle volte del soffitto, mi sembra di sentire l'odore dei loro escrementi e delle loro piaghe, soffro le loro pene e non sento dolore. I loro pensieri entrano dentro di me come mille voci. Ora in coro ora sole. Pensieri e parole che sento senza orecchie. Non so ancora se sono già morto. Eppure hanno coperto il mio corpo con un lenzuolo bianco.
È passato solo un mese dal giorno in cui iniziò tutto e sembra un attimo e un secolo insieme, in questi istanti in cui il tempo umano e la vista e l'udito e l'olfatto non hanno più senso di esistere e neanche io esisto più.
La signora soffre e si sente in colpa per me e io vorrei dirle di non crucciarsi, che ancora sono lì.
Se potessi le siederei accanto.
Le spiegherei che il mio è stato un impulso, un errore imperdonabile.
Vorrei dire che ho sempre rispettato e stimato quella grande donna, troppo intelligente per me, troppo lontana per un ignorante come sono sempre stato, troppo sola e troppo triste dopo l'incidente del marito.
Era uscito dal laboratorio mentre la Signora armeggiava ancora con i suoi campioni di rocce.
Poi da sotto la finestra dell'istituo un grido e vociare di gente e nitrire dei cavalli.

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