"Arte concettuale", dichiara Silvia Platt spingendo sulla sfida e soffiando via una ciocca biondo-platino che le era finita sugli occhi.
Quindici teste si chinano sul suo lavoro, una vasca da bagno trasparente dove per giorni, mesi, anni l'artista ha raccolto goccia a goccia un'acqua cristallina proveniente da diverse sorgenti.
"Bhé, manca ancora il titolo dell'opera, ma il significato mi sembra chiaro, anzi limpido. O no?"
Quindici paia d'occhi si volgono all'unìsono verso di lei. Interrogativi, severi.
L'artista s' affaccia sulla vasca e scopre con orrore che sul fondo giace uno scomposto amalgama di terriccio e sassi.
I suoi critici scuotono la testa e si allontanano senza proferir parola, mentre all'improvviso l'acqua prende ad agitarsi.
Con il fiato sospeso e tremando come una foglia, Silvia Platt si inginocchia e stringe forte i bordi vitrei.
Ed ecco che il terriccio si solleva, perforato da un paio di ginocchia bianche e ossute.
"Mamma", grida prima ancora di sapere.
Le sue braccia fendono l'acqua intorbidita, attraversano una schiena, portano a galla un corpo minuto, che non pesa niente.
Non l'aveva mai vista nuda prima d'ora. Persino quando la sorprendeva in sottoveste nella sua camera, sua madre incrociava le braccia sul seno: "Un attimo, che devo vestirmi..."
Boccheggia, tossisce, i globi oculari rovesciati all'indietro. Silvia Platt scivola sul pavimento con quel corpicino addosso e una bomba silenziosa deflagra nel suo petto. Avvolge quel corpo con il suo corpo, lo inonda di baci intrisi di singhiozzi, lo stringe tra le braccia come un neonato.
Due occhi grandi e impauriti si spalancano nei suoi. "Mam-ma". Silvia sillaba all'infinito quel nome sepolto, impaurita lei stessa da quel suono, così raramente emesso.
Mamma amata odiata dimenticata rimossa. Mamma adorata.
Passano fotogrammi veloci d'assenza e di furori. Porte sbattute su dogmi incomprensibili, indifferenze feroci, fughe codarde, menzogne. E uomini, party, musica assordante, provocazioni artistiche e non, a coprire un desiderio d'amore da intorcinare le budella.
Silvia scosta i capelli fradici dalla fronte di sua madre, l'accarezza con una dolcezza che non era più sua, sente le lacrime riempirsi di sorriso. Debolmente anche la madre sorride, gli occhi ancor pieni di punti interrogativi.
"Andiamo a vestirci, ora" sussurra la ragazza.
Finalmente il corpicino si distende e si affida. Le braccia fragili si appendono al collo della figlia.
Alzandosi, Silvia nota che nella vasca le acque sono di nuovo limpide e sul fondo luccica la perla che le è caduta dall'orecchio. Manda riverberi di luce.
"Incinta di mia madre", suggerisce la mente, per sdrammatizzare. Sì, questo potrebbe essere il titolo dell'opera. E di questo racconto, aggiungo io.