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Gli Apostrofi del salice
Nel mio piccolo nido alberghi come colomba dalle piume di cera e la sera quando m'addormento ti spengo e resti nel mio cuore.
Il mondo ruota intorno alla tua splendida stella e il mio pianto si è fatto dolcissimo fiume rimirandoti.
Ponevi il tuo volto diritto al mio ed io ti osservavo come fossi la dama bianca giunta dall'orizzonte.
Tu sembravi cantare e nel tuo canto mi raccolsi fugando gli ultimi veli della paura.
Il tuo agile corpo è entrato in me da tempo e mi muove. I brividi che sento sono i segni vivi delle tue carezze.
Tante volte il mio sguardo è caduto sui tuoi passi lievi di danza e il vento che in te m'avvolgeva mi tratteneva nel vortice della tua bellezza.
Come foglie rinate i miei anni si sono afferrati ai tuoi rami. Nel volo istantaneo si è sopito il mio corpo sulla tua giovane coltre di muschio.
Sento un brusio d'insetti nuovi tra questi fiori, vorrei spiegarmi cos'è quest'aria di vita e m'avvedo che sono allegre libellule liberate dalle tue parole.
Al tuo tepore mi conduco scalzo sul verde tappeto, so che ti nascondi dietro rami penduli per sorprendermi con la ghirlanda del tuo sorriso.
Sull'altare dei miei sogni vivi e ti adorno ogni istante nella tua veste immacolata di dolcezza.
Il tuo viso è ovunque ci siano spazi di cielo e di speranza. Nei vuoti di questi spazi supplisco con i miei abbracci.
Beati i pascoli offerti alla musa dei fiori, alle rifulgenti gemme tra i tuoi capelli.
Tu unica rondine che mi sovrasti, dei giochi in volo hai dimestichezza e il tuo planare ancor lieve sul prato m'atterra.
Benedetta fanciulla che ti divaghi con la mimosa occhieggiante nell'angolosa fetta del mio giardino.
Io prigioniero dell'eterna giostra non ho fughe nell'emisfero della luna che non abbiano frullio d'uccello in poche piume.
Greve del mancato amore è l'otre, giara stagnante senza fermento, eppure dal boccale si liberano spumeggianti sibili di mare.
Ho versato lacrime sull'editto mentre ti dichiaravo amore! Le parole non mi sembravano più statiche alle dicerie delle tue chiome rigogliose.
Mi lustrerò la notte di luna piena per sembrare un gentiluomo, lo farò nell'ingannevole luce, nell'apparenza che è valva di questo globo.
Non d'addio ma d'arrivederci mi parlasti e, con voce incerta e contraddittoria, sembravi bugiarda al mio cuore che attendeva.
Annotai sull'agenda della memoria le tue parole, riuscivo a seguire appena la tua sagace invettiva, ora ti rispondo con la mia inutile punzecchiatura.
Mille ed altri mille incontri di te avverranno ai miei occhi nella certa alternanza dei giorni e delle notti. E nel buio più tetro mi appellerò a libellule per condurti al mio cospetto.
Gli anni sono il mio scudo violato all'appello della fronte corrugata che reclama a persistenti vuoti d'amore.
Ho allentato le redini della primavera per sbrigliare criniere di gramigna; allo sgomento dell'arido deserto contrappongo auree trecce.
Ogni giorno prego per te affinché il mare del tuo bene inondi il mio cuore ed io sia accolto in te come navetta in porto sicuro.
Mi trovavo nel recinto di questo tempo di viole e raccoglievo fiori per te. Nella terra rinverdita ho anche raccolto le lusinghe delle mie parole e tu hai pianto.
Se vuoi che mi renda bersaglio sono pronto, usa però solo dardi d'amore, gli unici che il cuore riconosce tra le tue mani in abile flettersi d'arco.
La primavera fende la nebbia con virate di rondini. Così avanzo anch'io per la strada senza più distinguere regioni e stagioni.
Di questo tuo canto immaginato ho ordinato le parole una ad una a mo' di ventaglio per sollevare brezze di refrigerio sul mio viso.
Rotondità di luna, non ultima attrazione per licenziare la notte stanca.
Al volgere del giorno può ripetersi l'incontro con le stelle.
Non dimentico che l'alone si fa tracciare con un compasso di sole.
Spegnerò le luci della memoria ancora riflessa nella neve, rimasta allucinata nei ritagli dei morbidi fiocchi.
Da questo silenzio rinascono le asperità dei miei sentieri. Vivrò nell'oasi marginale della tua echeggiante voce. Ad afferrarla tutta ho allungato il mio respiro e non avverto alcun affanno.
Tra le pagine non lette del tuo passato forse c'è un rifugio dorato; a che serve fuggire distanti dal tempo ora che della tua spiga ho raccolto il grano?
Non partirò per altri continenti perché son già miniatura del tuo universo e della tua pelle mi rapisce l'indigeno profumo.
Cerco la solitudine nella visione della tua stella. Ho animato il teatro dei mimi per imitare i tuoi gesti. Chissà se mi basterà una finta lacrima per mascherare il mio vero pianto.
Io e te: milionesimo incontro casuale al cospetto d'una cellula sconosciuta quale eri per amarti subito e crescerti in me.
Oh sole, non insistere coi tuoi raggi, fa che si conservi un po' di brina sulle fronde fino all'ora tarda, affinché i miei anni conservino tenerezza nell'inusitata stagione.
Origlio spesso il pulsare delle mie vene, sembrano gemme di vita questi battiti.
Forse è l'amore che ancora mi ravviva.
Socchiudo alle tenebre le ciglia del sonno, ma il sonno è restio a prendermi con lui.
E lo prego di non stentare a custodirmi ora che ho intero disarmo; solo così, il sogno di lei sopravviene con volto di promessa.
Sulla pagina inconsistente di questo vento è scritto l'allarme dei marosi.
Forse devo ampliare il faro di salvezza per lei che si trascina nei miei pensieri.
All'incontrollata marea ho affidato le mie afflizioni ed ho ottenuto una conca per guarire.
Dall'alto atterra la lettiga e si stende ad albergare i nostri corpi.
Svanisce la tua luce all'etereo abbraccio del mattino, non posso sottrarre i singulti a divenire brina.
Nei prossimi istanti ti renderai al cielo ed io resterò a struggermi stringendomi il petto.
Di certo i tuoi effluvi velano le mie notti e supplico i tramonti a cercarti tra le galassie.
Non dirmi più che sei una straniera, tu appartieni e vivi nelle mie ciglia chiuse.
Tanto finora ho convenuto con i miei giorni tristi, tanto per alleviare con l'amore le mie amarezze.
Il sole dissecca i miei fiori, i raggi irrompono nella serra: dell'ineffabile avvenenza del roseto ho imposto alle ombre di riguardarlo e agli alberi di scuotersi ad ogni alito di vento.
Ricordati quella sera, lo scirocco, le parole soggiogate dall'ululo del vento, ricordati quanto assottigliavo la voce per sussurrartelo.
Ancora tale è rimasto e mi bussa alle tempie il fremito della tua voce e si congiunge al brivido fino a scuotermi le ossa in un gelido istante.
Tu le mie sensazioni raccoglile nell'urna del cuore, non sentirle distanti come reca audace sparviero, ma come rondine felice volteggia sicura sull'aia.
Quella sera la luna si sfibrava nel vento, imperava su di noi afferrata a rami sfogliati, e il mio ultimo calore s'infiltrava in te con fiato raccolto, ingigantito dai flicorni degli angeli in coro.
Trascorro il mattino ad ammirare le gemme così può rendersi meno futile il mio vivere. Il rastrello ha i suoni metallici di certe collane ed anche il radere la terra può sembrare una carezza.
Voglio camminare sempre più lento per giungere alla meta con saggezza. Tra le zolle di giugno è arduo avanzare ed io ho scarponi alti anche per scalare.
Nell'ora che di te si frantumano le forme e ti annulli, anche la luna deflagra e svanisce all'esangue luce del nostro cosmo.
Nell'istante perfettibile che scuoti i fianchi anche il mio cuore vibra aritmie e si rinnova il battito al tuo dolce miele.
Nonostante il cielo subisca il mistero dell'eclissi tu non svanisci e per me hai riservato perpetua fiamma d'amore.
Sui vuoti che mi lasci m'adagio come foglia caduta per rendermi giaciglio e attenderti nel miraggio della luna.
Interminabile è il cielo ai miei occhi che scavano nidi d'angeli implumi, in questa visione cadono le mie carezze sul tuo corpo che dolcemente le asseconda.
Alle pareti dei tuoi lucidi corridoi risuona la voce che convince il mio ascolto, ti risponde quieto il fremito della mia pelle che ti accoglie sciolta come unguento di gioia.
Nulla mi costringe a parlare di te nel buio, eppure vi ricorro come fosse il mio sentiero di vita; sono preso per mano dal vespro appena calato nell'intensità della nebbia che vai disseminando.
I gigli rivelano purezza negli occhi, le farfalle arenano voli nel miele, un brillio fecondo di raggi è nei petali e si sospende nell'aria il calice ai tuoi baci.
Arduo il mio sonno che non s'allevia dei lacci legati al deserto dell'insonnia; lenta su di me s'accompagna la tua veglia col fascino delle ali mentre m'attornia.
Il diadema ti costella la fronte di rare virtù tra cui la purezza ed io i tuoi fianchi li ho adornati di carezze per farti brillare di vita.
Su di te e la tua pelle ho eretto la mia fortezza, la sfida della duna che, nel riflesso, t'inargenta; quasi un maniero improvvisato nell'alone di luna.
Oh Igea, mia dolcissima dea, che nel tuo sguardo perenne mi risvegliai e attraverso te accarezzai il mio mondo di luce nuova.
In seguito mi prendesti in custodia nell'anima che non seppe più d'allora abbandonarmi.
Sostienimi col calice delle tue labbra berrò di te la linfa per far di me oblio; i tuoi suggelli sono come i miei fiori freschi colti alla penombra dell'inebriante malvasia.
È un'ora in cui sento di più il tuo abbraccio o giorno lungo che ti arrendi al tramonto, oh campanula chiusa nelle ciglia inebriate del tuo nettare.
Il mare ha compiuto il gioco delle danze frangendosi contro le mie ciglia di pianto.
Mi guardo allo specchio e mi cerco nella trasparenza della tua anima; della mia inconsistenza ho lasciato traccia nella tua velina.
Quello che scrivo riguarda un istante vissuto di te ingigantito nell'infinito girotondo dell'universo.
Quando mi giunge addosso il tuo respiro fermo il mio per sentirmi interamente estasiato.
Col tuo nome fra le labbra è nata la stella d'oriente che a me si è condotta al richiamo del cuore.
Se sto per raggiungerti è perché la galleria si assottiglia nel buio a irradiarsi di sole.
Posso restare con me stesso ora che di te ho eterna compagnia.
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