Puoi percepire ogni parte, ogni piccolo punto del corpo, puoi assaporare ogni minima ventata, puoi sentire.
Puoi pensare di capire, intuire gli altrui pensieri, puoi predire ogni singola azione, puoi ambire.
Ma in questo mondo niente va secondo le regole, le persone sensibili devono soffrire, è questa la condanna, la pena da subire davanti alla freddezza umana. E quindi perché dispiacersi più di tanto se un progetto non va in porto, inutile preoccuparsi se qualcosa va storto, bisognerebbe imparare a fregarsene di molte cose, pensare che è una colpa non può essere tua a priori. Ed è una malattia, una grave patologia, non esiste una terapia, ma io proverò a curarla, la sensibilità è un riflesso condizionato, ed io cercherò di correggerlo, punendomi con la sofferenza, cercando di raggiungere uno stato di profonda apatia. Non è etico, non è umano, ma è il requisito fondamentale di questa società paralizzata, di questa esistenza insensata. Il rischio è di diventare un oggetto, ma c'è un effetto di euforia, di gioia apparente, diventerò come tutti gli altri, uguale, non sarò più differente.
Questa vita ci spinge all'omologazione, al conformismo, ci vorrebbe tutti uguali, molto simili e facilmente controllabili. È difficile rimanere se stessi, è difficile rimanere diversi, i governi non ci vogliono perfetti, ma soprattutto ubbidienti. Non è per niente semplice, anch'io a volte sono tentato, perché soffrire è un obbligo, ma non può diventare un'abitudine, però preferisco patire, rischiando a volte, anche per mano mia, di morire che sottoscrivere quello stato di passività, privato da ogni voglia, quell'agonia che guiderà fino alla soglia, fino alla chiusura della porta. Quindi continuo, stringo i denti, combatto, respiro pigrizia, ma incito alla rivolta. E visto che non si può morire più di tante volte, preferisco farlo in un modo che dia alla mia vita una gloria, la soddisfazione di averla vissuta appieno, combattendo per qualcosa.